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Io, professore vigliacco, e il tradimento degli intellettuali

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di FRANCESCO BENOZZO Premessa obbligatoria. Sono un professore universitario. Insegno filologia a Bologna, nella più antica università del mondo occidentale. Sono il coordinatore di un dottorato di ricerca presso la stessa Università. Dirigo tre riviste scientifiche internazionali classificate in classe A dall’ANVUR (l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca). Ho fatto parte e faccio parte di commissioni di valutazione ministeriale. Sono il responsabile di quattro progetti interuniversitari internazionali – uno patrocinato UNESCO – che vedono coinvolte, oltre alla mia Università, quelle di Bonn, Londra, Los Angeles, Toronto, Calgary, Valencia, Istanbul, Cairo, Brest (Bretagna), Blida (Algeria), Shahid Beheshti (Tehran) Rabat (Marocco). Coordino insieme ad altri colleghi dei centri internazionali di ricerca e dei progetti di cooperazione tra università e mondo extra-uni
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5 COMMENTS

  1. Caro Professore, la sua pubblica riflessione, l’esposizione della autocoscienza, le fa onore. Ritengo la sua diagnosi sulla fine dell’Università, legata al tradimento del libero dialogo, corretta. Credo fosse un destino già scritto, consacrato con questao spettacolo pandemico. Voglio tuttavia consolarla: la crisi catastrofica in cui sono state gettate tutte le istituzioni + la pandemia come fatto primariamente politico e cioè la fine del patto costituzionale, giustificano quella che ritiene vigliaccheria. In un frangente di dominio assoluto dello spettacolo emergenziale e nella situazione di massima instaurazione di un opinione impaurita, qualsiasi atto simbolico dissidente sarebbe metabolizzato e occultato. Un sacrificio inutile. Invece occorre attendere presto la caduta dell’opinione, l’esaurimento della paura, vivere in clandestinità, con gruppi conviviali come dice Agamben. Un cordiale saluto

  2. Mi sembra dimostri una grande determinazione ed una grande dose di coraggio nello scrivere un articolo del genere.
    Mi pare che abbia un animo libertario.
    Sono quindi sicuro che non rinuncerà a combattere ancora e con maggiore efficienza in favore della libertà.

  3. Professor Benozzo, anch’io non sono un eroe: quando salgo (salivo, ora mi è vietato) su un mezzo pubblico non mi metto a litigare e finisco per indossare la biancheria facciale. Ora, appunto, rinuncio anche a salire per fascista altrui interdizione. Sul bisogno di eroi potrei citare Bertold Brecht ma è autore a me ideologicamente lontano. Rinunciare a essere pagato non servirebbe a nulla. Non solo a Lei ma anche ai suoi studenti. Come infiltrato ragionatore avrà la possibilità di essere sicuramente più utile, come autoesiliato non avrebbe neanche l’ufficialità dell’esempio. Mi conceda di dissentire su un aspetto. Il “conterraneo appenninico” non ha nulla di culturale, sia in campo letterario che in campo sonoro (il termine musicale per certi aggeggi è troppo, l’estetica e i suoi valori ce li insegna bene un altro da me lontano come Gyorgy Lukacs). Questi cialtroni sgolati non sono mai stati ribelli ma sempre funzionali al sistema. Fingevano la ribellione quando era di moda ma la loro finalità era solamente il successo personale. Simili personaggi non sono traditori ma squallidi e servili allineati che ora sono usciti sfacciatamente allo scoperto perché i loro capi politici governano ufficialmente. Prima parlavano male delle “autorità” ma era facile contro un avversario vile come quello democristiano o come quello forzista. Adesso si guardano bene dallo sfidare il potere; gli intellettuali sono sempre così, non sono traditori ma coerenti lacché. Onore alle eccezioni: Agamben, Cacciari, Fusaro e perfino Michele Santoro. Anch’essi distanti dal pensiero del sottoscritto ma non per questo meno apprezzabili. Citiamo loro come esempio. Non pseudocantanti che non conoscono neanche le più elementari tecniche vocali.

  4. Ho fatto anch’io alcune valutazioni su questo tema ma, l’aspetto che alla fine ha prevalso è stato il non abbandonare gli studenti al vuoto pneumatico del sistema di istruzione attuale. Conosco l’ambiente UniBo e lo riconosco nelle parole del Prof.Benozzo, l’ex fucina di cervelli si sta progressivamente trasformando in una fabbrica di automi.

  5. Buongiorno Professor Francesco, mi chiamo Gabriele.
    L’autocritica è da vedere spesso come uno spunto di riflessione per gli altri, più che per noi stessi. Lei si condanna per la sua titubanza e la sua paura, nonostante lei penso sappia bene che queste ultime siano emozioni primordiali ben consolidate in noi. Lei si assume grandi responsabilità vedendosi come un docente,una guida, che sta fallendo nel suo compito. Ma dimentica una cosa fondamentale dal mio punto di vista: essere una guida non significa necessariamente capeggiare un movimento, immolarsi per una causa o lanciarsi eroicamente contro un nemico. A volte sono anche solo l’empatia e la riflessione atte ad un’evoluzione di pensiero a fare la differenza, a portare studenti, amici, lettori, curiosi a porsi domande. Sono sempre stato dell’idea che lo studio e le riflessioni siano alla base della libertà e del potenziale cambiamento sociale. Ovviamente non uno studio tecnico atto a formare un esercito specializzato in tutto, ma uno studio colmo di pathos atto a far crescere gli individui. Ciò può avvenire solo se persone come lei continuano senza arrendersi a trasmette qualcosa alle nuove generazioni, che oramai risultano spente e fredde, lobotomizzate dall’opportunistica società consumistica, che sta trasformando le persone ed il mondo che ci circonda in un inquietante alveare. Bello, perfetto, specializzato come un orologio perfetto, ma privo di qualsiasi forma di emozione. La vigliaccheria, per dirla in breve, non è avere paura di licenziarsi, ed il coraggio non è combattere a muso duro il sistema. Leggendo quello che lei ha scritto io vedo che il coraggio è affrontare scelte difficili, scendere a volte a compromessi e sporcarsi le mani, non per egoismo, ma per sacrificare parte di noi stessi, con il fine ultimo di continuare a lottare, presentarsi in aula, e continuare ad impegnarsi per far sì che quei ragazzi possano sentire le sue parole, essere coinvolti e finalmente iniziare a pensare.

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