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Lo stato italiano non rinuncia all’uso della violenza sui popoli padani

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di ALESSANDRO MORANDINI

repubblica italicaNon passa giorno senza che i politici più rappresentativi delle organizzazioni che compongono l’istituzione degli indipendentismi veneto-padani esprimano un netto rifiuto dell’uso della violenza. Essendo una posizione comune a tutte le organizzazioni, si dovrebbe dire che questo è un tratto caratteristico dell’istituzione indipendentista. Essa, apparentemente, si distingue per questa sua inderogabile regola.

E tuttavia non c’è nessuno che oggi può escludere con assoluta certezza che domani, invece, dovremo assistere a scontri cruenti. Tra le regole che definiscono l’istituzione non può esservi quella sopra menzionata: il rispetto di una siffatta norma implica un grado di accentramento delle decisioni che solamente lo stato-nazione può assicurare. Certo, anche le istituzioni private possono sanzionare con l’esclusione gli individui che per raggiungere gli obiettivi comunemente concordati pretendono di ricorrere alla violenza. Ma le istituzioni non sono le singole organizzazioni; sono modi frequenti e consolidati di fare certe cose. Pertanto nella definizione delle regole che qualificano una istituzione, gli scopi della medesima sono più importanti di ogni pronunciamento. Il fatto che lo stato-nazione sia una istituzione, ed il fatto che molti stati abbiano rinunciato, almeno formalmente, alle guerre di occupazione, non implica che tutti gli stati-nazione rispettino questa regola. Anche non rispettandola continuano ad essere degli stati. Al contrario è vero che ogni stato-nazione, per il fatto stesso di essere una istituzione pubblica, obbliga chiunque transiti sul suo territorio al rispetto delle norme giuridiche che lo qualificano. Se è chiaro che, dati i suoi obiettivi, l’industria ospedaliera può escludere tra i possibili futuri impegni la corsa agli armamenti, non è così scontato che alcune organizzazioni degli indipendentismi veneto-padani  in futuro possano scegliere di ricorrere alla violenza. Tutto ciò che si può escludere in quanto negazione delle regole che definiscono l’istituzione è che la violenza possa essere utilizzata con il fine di occupare un territorio straniero; essa potrà essere solamente difensiva e finalizzata all’esercizio referendario.

Lo stato italiano non ha mai formalmente ammesso di voler rinunciare all’uso della violenza armata contro uno dei popoli che lo abitano e che rivendicano il diritto alla secessione. Questa possibilità sembrerebbe scongiurata da una prassi internazionale che, dal secondo dopoguerra, ha ridotto la sovranità degli stati-nazione riconducendo i conflitti intra-statali tra i popoli a questioni di carattere internazionale, più spesso, ma non sempre, risolte attraverso l’esclusiva pratica della negoziazione. Non sono però pochi i casi in cui gli esiti della trattativa sono orientati e determinati dai risultati di un conflitto. La casistica dei conflitti intra-statali conseguenti alle rivendicazioni indipendentiste è molto varia;  prevedere lo sviluppo di uno scenario tipico e la sua soluzione è difficile, ci si avventura inevitabilmente nel campo dell’azzardo. Basti pensare che neanche il rapporto tra la dimensione del popolo che rivendica l’indipendenza e lo stato-nazione che la nega è una condizione di partenza utile a stabilire con certezza possibili evoluzioni e risultati.

Che cosa si può dire allora sul conflitto tra l’istituzione degli indipendentismi veneto-padani e lo stato italiano?

Si può escludere un conflitto simmetrico. La Padania ed il Veneto non hanno forze paramilitari preparate ed organizzate, l’Italia ha un esercito. Non si può escludere, invece, un conflitto tra popolo e stato (il modo in cui questo può concretizzarsi è argomento di interessante discussione). E’ vero che tutte le organizzazioni indipendentiste esprimono attraverso i loro portavoce la volontà di ricorrere alla pratica della non-violenza; ma è ancor più vero che diverse pratiche non-violente, soprattutto quelle più efficaci, sono illegittime o possono, all’occorrenza, essere rese tali da una legge approvata in Parlamento. In Italia l’indisponibilità dello stato a cooperare ad una soluzione pacifica, ovvero referendaria, non lascia molte opportunità alle organizzazioni che intrepretano la battaglia indipendentista come pratica esclusivamente espressiva finalizzata ad incrementare i consensi o come battaglia combattuta esclusivamente all’interno delle istituzioni statali. Questi due aspetti della lotta indipendentista sono importanti ed anzi decisivi, ma non indipendenti dal valore positivo che assumono le azioni collettive meno raffinate (quelle che manifestano capitale sociale immediatamente disponibile all’uso della forza, del sabotaggio, del rifiuto, dell’arresto) in un contesto negoziale che non esclude alcun mezzo. Queste stesse azioni collettive in un contesto come quello verificatosi in Scozia assumono automaticamente un peso negativo.

Tra le cose che si possono affermare con certezza, anche il dispiegamento della propaganda. Chi, nello stato italiano, lavora con ostinazione alla riduzione delle opportunità di realizzazione dei fini propri dell’istituzione degli indipendentismi veneto-padani, è costretto a configurare un’immagine molto negativa dell’avversario, per equilibrare il difetto morale che la rinuncia alla cooperazione implica. La denigrazione non costituisce più uno strumento utile: la norma sociale che indicava nell’unità dello stato-nazione un indiscutibile imperativo non funziona più, indebolita dalle iniziative promosse delle diverse organizzazioni indipendentiste in Italia e in tutta Europa; e d’altro canto, gli indipendentismi padani hanno raggiunto una dimensione istituzionale. La propaganda unitaria sarà costretta a dipingere gli indipendentisti come dei veri e propri nemici pubblici, nemici mortali. Il coinvolgimento emotivo degli indipendentisti e degli unitaristi è destinato a crescere, e con esso le azioni organizzate, individuali e le semplici prese di posizione delle persone ancora oggi indifferenti ed indisponibili alla partecipazione diretta. Sempre più persone saranno chiamate ad esprimere opinioni, simpatie, antipatie, amore ed odio. Ma alle stesse persone non sembra poter concedersi l’opportunità di prendere decisioni collettive mediante un meccanismo comunemente accettato.

Il fatto che gli indipendentismi padano-veneti abbiano raggiunto una dimensione istituzionale consente di escludere una progressiva riduzione e marginalizzazione delle rivendicazioni indipendentiste; i consensi e la partecipazione intorno a questo tema si sono progressivamente differenziati e si distribuiscono in uno spazio sempre più ampio ed accogliente. Le scelte che le organizzazioni sono chiamate a prendere relativamente alle pratiche di partecipazione ed alla chiarezza del messaggio promuovono, rallentano o affossano la carriera di chi ha assunto ruoli guida. Per quanto si è detto è molto probabile che la pratica della confusione, dell’attesa, dell’ambiguità tipica di non pochi esponenti della Lega Nord conduca all’estromissione dei suddetti personaggi dall’istituzione degli indipendentismi padano-veneti, ad un attestato diffusamente riconosciuto di discredito. Molto più improbabile ma non impossibile che la Lega Nord si trasformi, grazie all’opera di suoi importanti esponenti, in un partito esplicitamente e irrimediabilmente italianista, preoccupato degli interessi dell’Italia, della difesa dei confini italiani, del futuro delle istituzioni italiane e magari nostalgico dell’Italia che fu. Quest’ultima soluzione, certamente la più destabilizzante e ricca di imprevedibili conseguenze per gli indipendentismi padano-veneti, appare proprio per questo motivo troppo destabilizzante per lo stato italiano.

E’ possibile che nel rapporto tra l’istituzione degli indipendentismi padano-veneti e lo stato italiano le elezioni politiche perdano progressivamente importanza; perdita conseguente all’incremento delle opportunità offerte dalle assemblee regionali e delle iniziative locali, dove la battaglia politica per l’indipendenza prende forma in modo più radicale ed incisivo.

Per concludere voglio ricordare ancora una volta che leggere il mondo padano, lombardo, veneto utilizzando le attuali espressioni di consenso o dissenso per questo o quest’altro partito, descritte dai sondaggi d’opinione, non aggiunge nulla alle riflessioni sul futuro; sicuramente non consente di approfondire e precisare i meccanismi sociali non rilevabili dalle indagini statistiche, in particolare la dimensione istituzionale e privata degli indipendentismi padano-veneti.

 

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