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L’italia spiegata con tre diverse generazioni di “giovani”

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GENERAZIONIdi GIAN LUIGI LOMBARDI CERRI

Dagli anni  ’40 ad oggi, in Italia si sono susseguite all’incirca tre generazioni.

Prima Generazione. E’ quella che ha fatto la guerra e che ha prodotto il “miracolo economico” a soli cinque anni dalla fine.

Seconda Generazione. E’ quella che ha prodotto la contestazione di tutto e di tutti trovando di insopportabile pesantezza il lavoro e ogni assunzione personale di responsabilità. In breve il ’68.

Terza Generazione. E’ quella attuale dei giovani “smarriti”. Stanchi della vita (mai visto tanti suicidi per futili motivi) che non imparano a vivere.

Non so se i nuovi italici abbiano letto le storie di Bill Gates (Microsoft) di Steve Jobs (Apple), di  Larry Page e Sergey Brin (Google), di Mark Zukerberg (Facebook), di Jeff Bezos ( Amazon), campioni fra i tanti giovani americani di successo. Chi sinora non lo ha fatto ricuperi il tempo perduto. E legga! Leggerà indicazioni interessantissime su come si orienta una vita. Senza stare attaccati alle sottane della mamma sperando in non si sa che cosa.Senza stare a casa così, come in un semplice rifugio di animale impaurito. Senza studiare se non per avere un qualsiasi pezzo di carta. Senza cercarsi un lavoro qualsiasi (purché onesto) in attesa di tempi migliori. Senza cercare l’avventura e l’esperienza all’estero. Senza tentare la carriera politica, tanto per trovare un tozzo di pane. Senza avere ideali di nessun tipo.

E’ arrivata oggi la mentalità del burocrate catto-comunista, secondo la quale il cittadino, al momento della nascita acquisisce solo diritti e pochissimi  doveri. Doveri che lui esaurisce con il semplice “desiderio di lavorare” e, magari, dandosi allo studio, così, a puro titolo sportivo. Studio che tuttavia lo autorizza a pretendere di possedere Ipod, e Ipad e quant’altro decidendo lui quando andare a scuola e come organizzare la scuola stessa e le materie di studio. Con l’aggiunta di un diritto di giudicare i più anziani di lui, scassando, se necessario, tutto quello che gli capita a tiro e, più in generale, infischiandosene di leggi e regolamenti.

Il concetto ben radicato è che i suoi problemi li deve risolvere qualcun altro, in particolar modo lo Stato il quale deve comportarsi per il bene di alcuni altri, ma con esiti operativi giudicati esclusivamente dagli “alcuni altri”. Mi si obbietterà: ma non sono tutti così! Tutti no, ma la maggioranza si. E quelli che non si comportano così (e sono i migliori) se ne vanno all’estero e, spesso, addirittura non tornano, disprezzando la cosiddetta madrepatria, dopo aver fatto un minimo di confronti.

Sulla seconda generazione (stiamo percorrendo la strada a ritroso)  è meglio stendere un velo pietoso avendo quasi esclusivamente impiegato il proprio tempo ad inventare la “filosofia del relativo”, modificando un vecchio slogan pubblicitario  in “tutto va mal, tutto fa brodo”. Ha collezionato sconfitte su sconfitte in tutti i campi.

La prima generazione è stata costantemente “sotto tiro”, ha patito la fame , la povertà, ha contato i suoi morti al fronte e sotto i bombardamenti in città. Quando è tornata dal fronte, dai campi di concentramento, o è uscita dai rifugi antiaerei, avendo innanzi agli occhi città distrutte e aziende chiuse e una miseria senza fine ha solo stretto i denti, si è rimboccata le maniche e senza un lamento (ne aveva perso l’abitudine perché tanto non gli avrebbe dato retta nessuno) ha iniziato a ricostruire il paese. Chi non ha trovato da sfamarsi in Italia (perché si è trattato di fame e non di appetito) è andata all’estero sino anche in Australia e non come “signorino” che segue un corso di master, ma come semplice operaio quando non come manovale. Sono emigrati a decine di migliaia, vivendo spesso in baracche per mettere via più soldi possibile.

Alla fine c’è chi, avendo trovato una confacente sistemazione, è rimasto dove era emigrato. C’è chi invece, dopo uno, due, tre anni è tornato, ricco di un gruzzoletto e di tanta, tanta esperienza  che ha messo a frutto in Italia ottenendo, insieme a quelli che erano rimasti il famoso “miracolo economico”.

Tutto bene per quella generazione? No! Perchè nell’ansia del lavoro non si è curata di educare i figli con la dovuta serietà e severità e ha cercato di non far sopportare anche a loro neanche una traccia delle sofferenze patite. In poche parole li ha viziati. E ora?

Poiché i loro genitori non hanno certo brillato per intraprendenza, i bravi giovani l’amaro calice se lo devono bere sino in fondo, ringraziando Iddio se il raddrizzamento delle idee non avverrà attraverso una nuova guerra, con tutto quello che ne deriva. Con tanti, tanti auguri!

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