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L’unica via d’uscita dallo “scempio pandemico” è la catarsi, un nuovo inizio

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di RENZO GIORGETTI Tramanda Tucidide[1] che durante la pestilenza di Atene era sopratutto “lo sgomento” che aggravava le condizioni dei malati, “la disperazione” che “prostrava rapida lo spirito” e rendeva molto più inermi all'attacco del morbo, provocando un “cedimento immediato”. Similmente l'erudito Ludovico Antonio Muratori, nel 1721 notava che, “regnando il contagio”, fossero proprio le “passioni dell'animo”, come “Collera, Malinconia e Terrore”, a essere i “primi beccamorti dell'uomo”. “Non pochi” – riporta Muratori sulla base di numerose testimonianze – vennero presi dal morbo al “solo Terrore concepito” al vedere in lontananza, oppure senza vederlo, “al solo ascoltare”, “il Carro funesto, su cui erano condotti i cadaveri degli estinti”. Altri, “spaventati da un solo Sogno funesto”, si abbatterono “così tanto di cuore” che caddero infermi. Così, “ferita l'immaginazione e messi in disordinato moto gli spiriti
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