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Milei contro Keynes: ricordando l’epica battaglia condotta da Hayek

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di LEONARDO FACCO

Javier Milei, economista argentino, presidente del suo paese e figura di spicco del libertarismo, ha fatto del contrasto alle teorie keynesiane una bandiera della sua carriera. Il suo libro – decisamente accademico, non propriamente divulgativo – Desenmascarando la mentira keynesiana: Keynes, Friedman y el triunfo de la Escuela Austríaca (uscito nel 2018 ed edito da Union Editorial) rappresenta il manifesto di questa crociata, ma le sue critiche si estendono a oltre un decennio di interventi pubblici, conferenze e dibattiti.
Prendendo spunto da questa opera e dalle sue uscite recenti, Milei si inserisce nell’epica rivalità tra Friedrich Hayek e John Maynard Keynes, portando avanti una visione che celebra la Scuola Austriaca (il cui fondatore è Carl Menger) e attacca il keynesismo come una “menzogna” economica.
Analizziamo questa battaglia intellettuale, con un occhio alla storia e un altro alle ambizioni di Milei. Nel suo libro, Milei smonta il keynesismo con un approccio metodico, professorale, matematico. Critica la teoria della domanda aggregata di Keynes, che giustifica l’intervento statale per stimolare l’economia durante le recessioni, definendola un’illusione che ignora le distorsioni del mercato. Per Milei, la General Theory di Keynes (che nel 1936 rese famoso il lord inglese e che lui ha letto 5 volte) ha aperto la porta a politiche inflazionistiche e a un’espansione incontrollata dello Stato, come i deficit di bilancio e l’onnipresenza delle banche centrali interventiste.
L’attuale presidente argentino contrappone a tutto ciò la Scuola Austriaca di Economia, in particolare la teoria dei cicli economici di Hayek e Mises, che attribuiscono le crisi a interventi artificiali sui tassi d’interesse. Milei sostiene che Keynes abbia travisato la realtà economica, offrendo una soluzione di comodo per i governi: spendere di più, stampare moneta e ignorare le conseguenze a lungo termine, dando così al politico una sensazione di onnipotenza. Un esempio concreto è il suo attacco alla Banca Centrale Argentina, che considera un’eredità keynesiana da abolire, un’idea che riecheggia nel suo programma presidenziale.
Negli ultimi dieci anni, Milei ha amplificato queste critiche in contesti pubblici. Durante interviste televisive e nei suoi famosi monologhi su diversi media, ha definito Keynes un “socialista mascherato” la cui teoria ha “distrutto l’Argentina”.
Nel 2015, in un dibattito economico a Buenos Aires, ha accusato il keynesismo di essere responsabile dell’inflazione cronica del paese, allora al 25% annuo, sostenendo che la manipolazione monetaria keynesiana abbia alimentato un circolo vizioso di svalutazione del peso. Nel 2020, durante la pandemia, ha attaccato le politiche di stimolo globale, etichettandole come “keynesismo da quattro soldi” che avrebbero aggravato il debito pubblico argentino, salito al 100% del PIL. Argomenti questi che ha esplicitato anche nel libro “Pandenomics“, per il quale ho avuto peraltro l’onore di scrivere la prefazione.
Queste uscite riflettono la sua visione: il keynesismo non è solo sbagliato, ma moralmente pericoloso, poiché giustifica il saccheggio delle risorse individuali.
L’epico scontro tra Hayek e Keynes, che raggiunse il culmine negli anni Trenta con articoli e libri come Prices and Production di Hayek contro la General Theory, offre un parallelo storico. Hayek, come Milei, vedeva nell’interventismo keynesiano un rischio di bolle speculative, mentre Keynes difendeva l’azione statale come necessaria per stabilizzare il capitalismo. Milei, emulo contemporaneo di Hayek, porta questa disputa nel XXI secolo, accusando Keynes di aver vinto una battaglia culturale, ma di aver perso sul piano pratico, reale.
Nel suo libro, cita dati storici: i paesi che hanno seguito il keynesismo negli anni Settanta, come il Regno Unito con l’inflazione al 24% nel 1975, hanno pagato un prezzo alto, mentre le riforme liberiste, come quelle di Margaret Thatcher, hanno avuto successo. Per Milei, l’Argentina è la prova vivente di questo fallimento (e lo ripete a pié sospinto anche ora che ricopre il ruolo di presidente), con un’inflazione ereditata da lui del 230% circa nel 2023, che oggi ha ridotto al di sotto del 40% in 18 mesi di governo (grazie a tagli alla spesa e deregulation), ma che ha intenzione di eliminare definitivamente entro il 2026.
Tuttavia, Milei non si limita a criticare Keynes. Nel suo libro, dedica spazio a Milton Friedman, riconoscendone il ruolo nel confutare il keynesismo con la teoria monetarista, ma lo supera con la radicalità austriaca. Egli accusa Friedman di non aver abbandonato del tutto l’interventismo statale, mentre la Scuola Austriaca, con Mises e Hayek, offre una soluzione pura: mercati liberi e abolizione della banca centrale. Questa posizione lo distingue da altri economisti e lo avvicina a un anarcocapitalismo che, pur condividendo con Mises l’avversione al controllo statale, lo applica con un pragmatismo politico unico (da miniarchico direi), come dimostrato dai suoi tagli del 35% alla spesa pubblica, l’abolizione di decine di ministeri, la privatizzazione di alcuni servizi, il licenziamento di 50.000 dipendenti pubblici inutili, la riduzione della povertà di oltre 20 punti percentuali, l’apertura alla concorrenza monetaria, tra le altre cose fatte.
Le critiche di Milei, però, non sono esenti da contraddizioni. Sebbene celebri Mises, il suo approccio miniarchico a breve termine (uno Stato minimo) stride con l’anarcocapitalismo a lungo termine che professa idealmente, un punto che i suoi detrattori libertari (che lui apostrofa come “libertarados”), incluso qualche seguace di Mises, gli rimproverano. Milei ribatte che questi sono i costi di smantellare un sistema keynesiano marcio, un’eredità che richiede tempo per essere superata. Il tempo, solitamente galantuomo, dipanerà l’arcano.
In definitiva, Milei contro Keynes non è solo un caso da dibattito accademico (che non compete certamente al sottoscritto), ma un caso di guerra culturale (la batalla cultural, così la definisce Milei sulla scorta delle affermazioni di Agustin Laje) che richiama lo scontro Hayek-Keynes. Una guerra culturale che va ben oltre l’economia. Con il suo libro del 2018 e le sue uscite pubbliche, Milei si posiziona come il paladino della Scuola Austriaca più conosciuto al mondo, accusando Keynes, senza mezze misure, di aver ingannato il mondo con promesse di prosperità statale mai avveratesi.
Se il suo esperimento argentino avrà successo, potrebbe riscrivere la storia economica, dimostrando che le idee di Menger, Hayek, Mises, Rothbard – non certo di Keynes – sono il futuro. Viceversa, diverrà un eterno bersaglio.
Per ora, la battaglia continua, e l’Argentina è il terreno dello scontro.

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3 COMMENTS

  1. L’approccio miniarchico a breve non stride affatto con l’ancap a lungo.
    E’ sintomo di buonsenso, le cose van fatte per gradi.

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