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Popolare di bari: fallimento nel mercato, non del mercato

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di MATTEO CORSINI

Recentemente ha proposto che lo Stato faccia “la sua parte” nel salvataggio dell’ex Ilva, in buona sostanza mantenendo inalterato il numero di posti di lavoro a fronte di 4700 esuberi ipotizzati da ArcelorMittal. Adesso Francesco Boccia, ministro per gli Affari regionali (soprattutto meridionali, pare di capire), interviene sulla crisi della neo commissariata Banca Popolare di Bari affermando, tra le altre cose:

  • “La vicenda di Bari vede sicuramente acquisizioni sbagliate ed errori nella valutazione del merito di credito, ma il tema strutturale è un altro. Una banca tradizionale che lavora sul territorio oggi regge se non ha una fortissima innovazione tecnologica e non propone servizi evoluti? Penso di no. Ha senso quindi discutere di pubblicizzazione dei sistemi di pagamento? Penso di sì, anche perché non voglio assistere inerme al licenziamento di decine di migliaia di bancari resi inutili dalla tecnologia. Questo è o non è un fallimento di mercato? Discutiamone, almeno”.

Bontà sua, Boccia ammette che la banca in questione qualche magagna a livello gestionale debba pure avercela avuta per arrivare alla situazione attuale. Faccenda sulla quale non voglio in questa sede entrare nel merito. Poi, però, Boccia vola alto e tira in ballo la possibile generazione di esuberi connessa alla digitalizzazione di interi processi e servizi, che peraltro non riguarda solo il settore bancario. A suo parere si deve almeno discutere se quello non sia un fallimento di mercato.

Ebbene, non lo è affatto. Già non è un fallimento di mercato il fatto che non ci siano operatori privati che vogliano investire risorse per rilevare aziende come Alitalia, ex Ilva o anche banche finite in dissesto. Quelli, al contrario, sono casi nei quali il mercato ha decretato il fallimento delle aziende in questione.

Ma neppure può dirsi fallimento di mercato quella che, piuttosto, è una evoluzione del mercato. Tutte le innovazioni, anche senza scomodare Schumpeter, generano effetti “distruttivi” sul contesto di mercato precedente. Effetti che possono essere più o meno consistenti a seconda della portata dell’innovazione stessa.

Si può discutere su come tali effetti debbano essere gestiti (e le soluzioni stataliste generalmente non sono ottimali né per i risultati raggiunti, né per il rispetto del denaro dei pagatori di tasse), ma arrivare a definire fallimento di mercato le innovazioni è un puro esercizio di neolingua orwelliano. Con questo approccio, per fare un solo esempio, l’invenzione dell’automobile sarebbe stato un fallimento di mercato generando esuberi tra i costruttori di carrozze.

E meno male che questo signore, al di fuori della politica, dice di essere economista…

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