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Quando papa bergoglio vaneggia di “giusto salario”

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di GIOVANNI BIRINDELLI In un discorso in cui dimostrava di non sapere cos’è il denaro e in cui, come ogni bravo socialista, predicava il «bene comune», Papa Bergoglio ha invitato i datori di lavoro a pagare «più giusti salari». Ora, dai pochi sostenitori della libertà e dell’unico sistema economico con essa compatibile (il capitalismo) è spesso sostenuto che il concetto di salario “giusto” non ha, da un punto di vista della scienza economica, significato alcuno. Non sono necessariamente d’accordo. Il termine “giustizia” può infatti riferirsi a due cose diverse e anzi opposte l’una all’altra. Da un lato, può riferirsi a una situazione particolare desiderata da qualcuno, per esempio una di maggiori salari per i lavoratori dipendenti. L’uso del termine “giustizia” in relazione a una particolare situazione desiderata implica che una situazione particolare diversa da questa (per esempio una con salari minori di quelli desiderati da qualcuno, p. es
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3 COMMENTS

  1. Mi permetto di aggiungere a quanto magistralmente esposto da Giovanni Birindelli, che lo svarione papale sul giusto salario deriva dall’ingenua convinzione, purtroppo di pubblico dominio, che il salario del lavoratore provenga dal profitto dell’imprenditore.

    E’ una sesquipedale sciocchezza.
    O meglio, è la verità nel caso in cui l’imprenditore sia un monopolista tutelato dalle leggi dello Stato oppure nel caso di un’economia statalizzata.

    In un’economia di libero mercato i profitti dell’imprenditore sono calmierati dai profitti degli imprenditori concorrenti nel suo settore. Il singolo datore di lavoro deve quindi disputarsi i lavoratori più produttivi che lo possano aiutare a conquistare il favore dei clienti, e quindi a fare più profitto.

    In questa disputa per il lavoratore migliore sta l’aumento dei salari eil progresso delle nazioni. Infatti i lavoratori più ricchi sono sempre stati quelli delle economie meno regolate dallo Stato. Più libero mercato, maggiore crescita delle retribuzioni.

    Sfortunatamente Papa Bergoglio appartiene alla immensa schiera di ignoranti economici schiavi del modello superfisso, vale a dire il concetto secono cui la ricchezza che esiste è data (lui dirà da Dio, i marxisti diranno dalla natura) quindi, essendo una quantità data, se uno arricchisce qualcun altro deve impoverire.

    E’ naturalmente un’enorme stupidata smentita dai fatti perchè se così fosse, ad esempio, non si capisce come poco meno di sette miliardi di persone (e continuano a crescere) abbiano almeno tre pasti al giorno mentre qualche secolo fa, quando le risorse naturali erano quasi intatte e l’umanità era un frazione di quella di oggi, la gente moriva regolarmente di fame.

  2. Caro Giovanni Birindelli, ammiro sempre i tuoi articoli, tuttavia quest’ultimo mi ha lasciato dei dubbi. Premesso che personalmente non ci tengo a difendere il papa in quanto tale, essendo ateo e ritenendo il pontefice un uomo come gli altri, e che probabilmente lui intendeva davvero ciò che tu hai considerato.. provo a esporti i miei dubbi sul ragionamento generale. Forse li troverai un po’ ingenui o poco significativi, perchè sono sicuro di non saper esporre i miei pensieri con la stessa lucidità, semplicità, brillantezza, di cui tu sei capace..

    L’uso del termine giustizia in relazione a una particolare situazione desiderata implica che una situazione diversa da questa sarebbe ingiusta e andrebbe corretta tramite la coercizione statale? In realtà a rigor di logica non mi pare proprio così. Perchè dovrebbe discenderne automaticamente la coercizione statale?

    Considerazioni di giustizia non possono riguardare contemporaneamente le situazioni e i processi, i fini i mezzi?

    Cioè non posso dire che non è giusto che il ricco se ne freghi del povero e contemporaneamente che non è giusto che lo stato intervenga con la violenza a (cercare di) cambiare la situazione?

    Posto che non trovi giusta una certa situazione e ne trovi giusta una diversa, perché dovrei esaurire qui il mio discorso etico? Può darsi che non tutte le vie che conducono dalla prima alla seconda situazione mi appaiano giuste. Non potrei continuare dicendo che non tutti i mezzi per passare dalla prima situazione ingiusta, alla seconda situazione giusta, sono giusti? (può darsi persino che non esistano mezzi giusti per passare da una situazione ingiusta a una giusta)

    Venendo poi al mercato.. il rispetto della giustizia come processo, cioè il libero scambio capitalista, consente vari esiti, che nel tuo ragionamento mi pare vengano tutti messi sullo stesso piano etico: tutti giusti. Ma ciascuno di noi secondo il suo senso di giustizia valuta diversamente questi esiti: non avvertiamo ugualmente giusto ogni libero scambio solo perché avviene per via volontaria, e di fatti non ci regoliamo, quando siamo noi stessi a scambiare, come se ogni scambio fosse eticamente identico.

    Il rifiuto della coercizione non esaurisce il discorso sulla giustizia. Posto che la coercizione va rifiutata, non ne deriva che ogni situazione in cui la coercizione è esclusa è giusta. Se la coercizione è ingiusta sembra logico dedurre che il suo contrario deve essere giusto, ma in realtà l’assenza di coercizione potrebbe essere necessaria, ma non sufficiente. Per cui la non-coercizione potrebbe non corrispondere a giustizia.

    Una persona in condizioni di estremo bisogno potrebbe accettare di fare un lavoro estremamente pesante per un salario estremamente basso, al limite della sussistenza. Sebbene il datore di lavoro non applichi costrizione certamente conta su una situazione disagiata per tirare il salario al minimo: rispetta la giustizia come processo, perché non usa violenza alcuna. Tuttavia un’etica cristiana (o altra) può trovare ingiusto questo suo comportamento, poiché essa non si esaurisce nella non aggressione, ma aggiunge a questo altri principi.

    Per esempio il fair trade rispetta la giustizia come processo ed è un fenomeno di mercato, ma si basa su dare un prezzo a considerazioni etiche ulteriori rispetto a quelle del semplice scambio volontario.

    • Caro Pietro Agriesti,
      grazie per il commento. Se la giustizia potesse essere riferita a una situazione particolare (o anche a una situazione particolare) allora non ci sarebbe limite alla coercizione che potrebbe essere esercitata su un individuo (come osserviamo oggi).
      In primo luogo, infatti, ogni situazione particolare definita come “giusta” sarebbe arbitraria. In secondo luogo, anche volendo, gli individui non potrebbero mai stare nella stessa situazione e quindi se la “giustizia” stesse in una situazione particolare essa non potrebbe essere uguale per tutti (non potrebbe valere il principio di uguaglianza davanti alla Legge). In altre parole, dato che gli individui sono tutti diversi l’uno dall’altro, se venissero tutti trattati allo stesso modo essi finirebbero in situazioni diverse: date le loro diversità individuali, l’unico modo di farli finire nella stessa situazione (ammesso per assurdo che fosse possibile) sarebbe trattarli in modo diverso, cioè violare l’uguaglianza davanti alla Legge. Una delle numerosa ragioni per cui non è logicamente possibile che la giustizia stia contemporaneamente nei processi e nelle situazioni è che non è logicamente possibile rispettare l’uguaglianza davanti alla Legge e violarla allo stesso tempo.
      Infine, un breve accenno al tuo ultimo esempio a proposito dell’imprenditore che si approfitta della situazione di disagio del lavoratore e “tira il salario al minimo”: nel fare questo, egli non solo sta rispettando la Legge e quindi sta agendo all’interno dei confini della libertà, ma soprattutto sta svolgendo il ruolo essenziale che ogni agente economico necessariamente svolge nell’ordine spontaneo del libero mercato (inclusa Madre Teresa di Calcutta e il lavoratore che cercherà di sfruttare la condizione di bisogno del datore di lavoro per “tirare il salario al massimo”): usare la propria conoscenza, le proprie capacità e i propri beni in funzione del massimo profitto, il quale include, naturalmente, anche il “psychic revenue”. Se si impedisse agli agenti economici di sfruttare le difficoltà altrui a proprio vantaggio i prezzi non potrebbero emergere e il sistema economico crollerebbe (e quel lavoratore probabilmente, invece di avere un salario al limite della sussistenza o comunque per lui conveniente data la sua situazione, altrimenti non lo avrebbe accettato liberamente, morirebbe di fame).
      Un saluto,
      GB

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