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Se un investimento merita ci pensano i privati a farlo

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di MATTEO CORSINI

Una delle cose interessanti di questo governo è che quasi tutti i suoi componenti (stra)parlano di questioni che non sono di pertinenza dei loro ministeri. Per esempio Armando Siri, consigliere economico (sic!) di Matteo Salvini, è stato piazzato a fare il sottosegretario alle Infrastrutture, ma un giorno sì e l’altro pure scrive articoli o rilascia interviste sulla finanza pubblica come se fosse il ministro dell’Economia.

Siri vorrebbe fare tutto subito, finanziando gran parte dei provvedimenti compresi nel contratto di governo mediante deficit aggiuntivo ed entrate una tantum. A suo parere la Commissione europea non consente di scorporare dal calcolo del deficit le spese per investimenti perché ritiene che taluni Stati membri sperpererebbero il denaro: “Lo spettro delle cattedrali nel deserto ovvero di opere che non si realizzano se non in tempi molto lunghi è la preoccupazione prevalente a Bruxelles dove si teme che l’utilizzo di eventuali fondi scorporati dal deficit non sarebbero sufficienti a garantire gli obbiettivi di crescita”.

Se queste fossero, non credo sarebbero particolarmente campate in aria le perplessità della Commissione. Basti ricordare che alla voce flessibilità per investimenti, riforme e quant’altro, sono finiti anche i 500 euro elargiti ai diciottenni. Che una mancia del genere sia considerabile riforma o investimento pare francamente dubbio (se non lo si considera un investimento elettorale di chi governa, ovviamente a spese altrui).

Ma ecco la soluzione Siriana: Per sconfiggere questa attitudine paternalistica che getta via anche il bambino della crescita, assieme all’acqua sporca, una prima soluzione potrebbe essere quella di scorporare dal deficit gli investimenti incontestabilmente produttivi e funzionali alla crescita stessa, mantenendo dentro il debito pubblico ordinario quelli privi di tali caratteristiche”.

Una precisazione: il debito aumenta comunque, anche se dal deficit si escludono fittiziamente delle spese: Più specificamente si potrebbero scorporare quegli investimenti che, anche se pubblici, fossero posti in essere rispettando gli standard di efficienza e il conto economico di un qualunque investimento di mercato, magari affidandone la valutazione ad un organismo indipendente (Bei?). Così come si potrebbero escludere dal deficit gli investimenti pubblici posti in essere insieme ad investimenti privati: perché in quel caso, evidentemente, vi è da ritenere si tratti di investimenti produttivi posti in essere con criteri di redditività, redditività cui qualunque investitore con capitale proprio pretenderebbe di mirare e ottenere”.

Non di rado queste partnership tra pubblico e privato hanno scaricato sui pagatori di tasse delle vere e proprie rendite a favore delle imprese private, le quali hanno ottenuto gli appalti oliando i meccanismi di aggiudicazione. Se un investimento ha buone prospettive non c’è motivo di credere che un privato non lo faccia. Lo Stato deve semplicemente rimuovere ostacoli ed evitare di metterne di suo, piuttosto che fare il partner.

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2 COMMENTS

  1. Nessun intervento dello stato e’ mai stato produttivo, se non per chi ha pensato ad intascare tangenti per oliarne le realizzazione che se va bene si vedra’ dopo tempi indiniti… che sia il Mose che sia la Tav… ergo: ponti d’oro per opere con fondi privati che spendono cioe’ investono alla luce del sole e in fretta, perche’ i tempi biblici non sono mai produttivi… IInfatti c’entra sempre lo stato quando si verificano! diventando un colabrodo permanente …

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