di ROMANO BRACALINI
Se perfino un meridionale liberale, come Giustino Fortunato, diceva che procedendo da Nord a Sud, si capiva quando si entrava nel regno dei Borboni dall’improvviso cambiamento del paesaggio, dallo stato di abbandono delle campagne, dal degrado e dalla sporcizia delle città, dallo sguardo iroso del popolo, non ci si può meravigliare che il medesimo sentimento di sbigottimento l’avesse il viaggiatore del nord al quale non di rado veniva consigliato di fare testamento prima di intraprendere un simile viaggio.
Per tutto l’Ottocento illustri viaggiatori avevano ritenuto il viaggio in Italia un completamento delle loro conoscenze. Il richiamo delle memorie classiche esercitava un fascino irresistibile. Ma l’Italia pareva un paese in abbandono, con i mendicanti stravaccati sui gradini delle chiese. Tra le rovine pascolavano le pecore. Il Risorgimento aveva messo in contatto le due Italie in modo traumatico; e dalle descrizioni dei plenipotenziari di Cavour
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