di STEFANO MAGNI
Si dicono tante cose sul movimento Tea Party: che è bianco, maschio, razzista e bigotto (secondo i nostri media), che è contro le tasse e a favore dei ricchi (secondo i nostri politici), che è per la riduzione del potere dello Stato e del debito pubblico (secondo i suoi estimatori). Però c’è sempre un aspetto che sfugge. Ma salta all’occhio non appena si entra a contatto con la gente del Tea Party americano, o si ascoltano i discorsi dei loro esponenti politici: il movimento del tè è contro il governo centrale e per un’autentica autonomia dei singoli stati americani. Non è solo una ribellione contro spesa pubblica e tasse, ma anche e soprattutto contro l’origine dell’aumento di entrambe: la centralizzazione progressiva dello Stato americano.
Alla CPac di quest’anno, la conferenza annuale dei conservatori, lo ha spiegato molto bene uno dei primissimi politici che hanno aderito al Tea Party, il senatore della South Carolina Jim DeMint. “Noi si
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