di JOSHUA STYLMAN
C’è stato un tempo in cui i viaggi in aereo incarnavano una certa dignità. Le persone si vestivano per l’occasione, il servizio era attento e il viaggio stesso aveva un valore che andava oltre il semplice trasporto. Dopo anni di imbarchi settimanali per lavoro e per svago, per svariati motivi, negli ultimi anni ho volato molto meno. Il mio recente viaggio con la famiglia non mi ha fatto rimpiangere la pausa, anzi, ha rivelato quanto ci siamo allontanati da quell’approccio al viaggio un tempo raffinato e rispettoso.
Ciò che mi colpisce più profondamente è l’apparentemente deliberata e sistematica disumanizzazione che ora definisce l’esperienza. Siamo ammassati in un teatro di sicurezza dove veniamo irradiati da scanner a corpo intero, separati casualmente dai nostri beni e dai nostri compagni di viaggio, palpeggiati da estranei in uniforme e costretti a stare in piedi senza scarpe e senza cintura in una performance che maschera la sicurezza ma che assomiglia di più a un’umiliazione rituale. I dati confermano questa percezione: secondo uno studio della Cornell University del 2023, i controlli TSA hanno un tasso di fallimento del 95% nell’individuare minacce reali, mentre riescono a privare milioni di persone della loro dignità ogni giorno.
L’umiliazione continua per tutto il viaggio. Negli ultimi vent’anni le compagnie aeree hanno ridotto la larghezza dei sedili di una media di 9 centimetri e lo spazio per le gambe di oltre 10 centimetri, aumentando contemporaneamente il numero di sedili per aereo fino al 30%. Non posso fare a meno di chiedermi se non si tratti di un progetto accidentale, ma piuttosto di un disagio calcolato per ottenere il massimo profitto e condizionare i passeggeri ad aspettarsi e accettare un trattamento sempre più degradante.
L’incessante spinta verso la Real ID e i sistemi di identificazione digitale rappresenta qualcosa di molto più insidioso di una semplice evoluzione procedurale. Questi sistemi codificano un apparato di sorveglianza che trasforma la libertà di movimento in un privilegio costantemente monitorato, che rispecchia la più ampia e strisciante normalizzazione del controllo digitale in ogni aspetto della vita. Consegniamo i nostri dati biometrici non perché migliorino in modo dimostrabile la sicurezza, ma perché siamo stati condizionati ad accettare un monitoraggio invasivo come prezzo della mobilità.
Mentre ero via, ho avuto una conversazione con un pilota veterano – che ora vola su aerei privati dopo il pensionamento forzato a 65 anni – che ha rivelato un’altra dimensione di questo declino. L’industria delle compagnie aeree commerciali elimina sistematicamente i suoi aviatori più esperti attraverso politiche di età obbligatorie piuttosto che di valutazione delle capacità, creando un vuoto di esperienza riempito da piloti meno esperti che operano sotto la pressione della massima efficienza e della riduzione dei costi. Nel frattempo, il pilota mi ha fatto notare come le iniziative per la diversità privilegino gli obiettivi demografici rispetto alle capacità dimostrate, compromettendo potenzialmente la sicurezza. A meno che non possiate permettervi di volare privatamente, siete bloccati da questo sistema sempre più problematico.
Anche l’economia del volo si è trasformata. I servizi di base che un tempo erano inclusi – bagagli, selezione del posto, persino acqua – sono stati scorporati e riconfezionati come opzioni premium. Secondo i rapporti dell’industria, le compagnie aeree hanno generato oltre 75 miliardi di dollari in tariffe accessorie solo nel 2023: ricavi ottenuti non aggiungendo valore, ma degradando intenzionalmente l’esperienza standard e facendo pagare per restituire frammenti di dignità.
Questa non è libertà. Eppure lo sopportiamo perché vogliamo, o dobbiamo, andare da qualche parte. È la perfetta incarnazione di quello che ho precedentemente definito “Il prezzo della convenienza”: la nostra disponibilità a barattare dignità, privacy e autonomia con la capacità di muoverci in modo efficiente nello spazio. Il sistema è stato progettato in questo modo, non per caso. Siamo esplicitamente chiari: non si tratta di cambiamenti evolutivi ma rivoluzionari, deliberatamente attuati per condizionarci ad accettare trattamenti sempre più disumanizzanti.
Non credo sia paranoico riconoscere i modelli di controllo quando si presentano in modo così evidente. La nostra conformità viene allenata attraverso mille piccole indignazioni, e il viaggio in aereo rappresenta forse l’esempio più concentrato di questo programma di addestramento. Impariamo a sottometterci a un’autorità arbitraria, a rinunciare ai nostri confini personali e a sopportare il disagio senza protestare: lezioni che ci rendono poco utili come cittadini di quella che una volta era definita una società libera.
Ciò che mi preoccupa di più è il riconoscimento che questi cambiamenti hanno uno scopo che va oltre il profitto. È demoralizzante essere trattati come un inventario e questo effetto cumulativo ci rende docili, conformi e facilmente controllabili.
Per molti versi, l’esperienza di volo rispecchia le tendenze della sanità, dell’istruzione e dei sistemi di vita pubblica che non ci servono più, ma ci gestiscono. Attualmente sto lavorando a un’importante serie in quattro parti sul controllo mentale che spero di iniziare a condividere nei prossimi giorni. Se avrà risonanza, potrebbe essere il lavoro più importante che ho pubblicato in questo spazio finora.
Ad ogni modo, vi ringrazio per avermi concesso questo sfogo sulla nostra rinuncia collettiva alla dignità nel trasporto. Il modo in cui abbiamo normalizzato questo trattamento rivela molto di ciò che abbiamo già ceduto e di ciò che potremmo ancora perdere se non riconosciamo il modello che si sta svolgendo davanti a noi.
A volte un viaggio serve a ricordarci quanto ci siamo allontanati da ciò che un tempo sembrava non negoziabile: il diritto di muoverci nel mondo con la nostra umanità intatta.
TRATTO DA QUI – TRADUZIONE DI LISAN AL-GAHIB
Ah, però per quanto riguarda lo spazio a bordo, ci sono posti scelti, basta pagare. Certo che se voli con Ryan a 29,99 per un paio d’ore non puoi lamentarti.
Ma infatti nell’articolo lo si percepisce questo concetto! Però, da uomo che ha viaggiato per la prima volta 60 anni fa, ho percepito questo articolo come un riassunto assai veritiero! 🙂
Articolo stupendo, avrei voluto scriverlo io.
Credevo di essere l’unico insofferente ai toni e alle manazze schifose degli sbirri di merda.