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Morte (di un elefante carbonaro) a venezia

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di PAOLO L. BERNARDINI Venezia, porta d’Oriente, vive da sempre con un animale esotico come proprio emblema. Mai, forse neppure nei tempi più remoti, i leoni hanno passeggiato tra le paludi della laguna. Venezia, porto aperto a merci e uomini del mondo intiero, ha accolto sui propri moli, nel corso di secoli di doni diplomatici e razzie, iene e tigri, leoni in carne ed ossa e antilopi. E anche un rinoceronte, reso celebre dal quadretto del Longhi: il bestione catturato mantiene tutta una sua dignità dinanzi alla debosciata e angosciata nobiltà che sotto la bautta tremava, dinanzi a cotanta potenza. E dinanzi al destino proprio, di decadere, inevitabilmente, nell’ultimo scorcio del Settecento. Meno noto forse un altro quadro “esotico” dell’acuto Pietro Longhi, tra satira e meraviglia: L’elefante, del 1774, conservato a Vicenza, nel Palazzo Leoni Montanari. Anche qui gli astanti sono colti da interesse morboso, ma anche scientifico, per questa creatura dell’India,
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