di FABRIZIO DAL COL
Stefano Fassina esce allo scoperto, apre le "danze" sui provvedimenti economici adottati dal governo, e in vista della rivisitazione del patto del Nazareno, attacca la della Legge di Stabilità. Dalle colonne del Foglio, Fassina, autorevole esponente della minoranza interna del Pd, e già vice ministro dell’Economia con il governo Letta, esprime il proprio dissenso per una manovra da lui ritenuta “inadeguata a rianimare la nostra economia e a migliorare l’occupazione, dopo una caduta del Pil di quasi 10 punti percentuali negli ultimi 7 anni e un triennio ininterrotto di recessione. È inadeguata per il 2015 e impossibile, come il cubo di Escher, per gli anni successivi”.
A rendere “restrittivo” il disegno di Legge di Stabilità è in primo luogo il fatto che “il deficit programmato per il 2015 è inferiore a quello previsto per il 2014: il 2,6% versus il 3%, dopo il cedimento alle richieste ottuse della Commissione europea”. Secondo Fassina,
Prima premessa: la crisi italiana, come è diventato evidente quest’estate, non è dovuta a fattori esterni ma solo interni, essenzialmente per la Spesa pubblica che era già elevata nel 1994 (vi ricordate Berlusconi che promise di abbassare le tasse?) e nel frattempo è raddoppiata. La cosa è semplice da spiegare: la spesa pubblica viene finanziata con tasse e debito pubblico. Se il Pil cresce del 2% all’anno e la spesa pubblica del 5% ed il deficit annuo (differenza tra spese ed entrate) è del 3% allora ogni anno la spesa pubblica richiederà una sempre maggiore quota di tasse e di debito pubblico per essere finanziata. Ovvio che ad un certo punto si raggiunga un limite: il debito pubblico non può più crescere, perché è evidente che il peso degli interessi è eccessivo e le tasse non possono superare un certo livello, pena la scomparsa del risparmio, dei consumi e la fuga delle aziende all’estero.
Questa è la situazione italiana brutta ma non stabile, anzi in costante peggioramento.
Le dottrine economiche propongono diverse soluzioni: la scuola keynesiana prevede l’aumento della spesa pubblica affinché maggiori risorse vengano immesse nell’economia. Ma l’aumento di spesa pubblica dovrebbe essere finanziato con maggiori tasse (impossibile perché crollerebbero i consumi, il gettito delle tasse e ci sarebbe fuga di aziende all’estero o chiusura con aumento della disoccupazione) oppure con maggiore debito pubblico (impossibile perché l’Europa ci chiede di diminuirlo). I monetaristi invece prevedono che l’aumento di spesa pubblica venga finanziato con stampa di carta moneta e questo prevede che si esca dall’Euro, altrimenti è impossibile.Il difetto di queste due soluzioni è che manterrebbero invariata la struttura della spesa pubblica (e quindi gli sprechi, i 30.000 forestali siciliani, ecc) e in pochi anni saremmo di nuovo daccapo. Inoltre l’aumento di spesa pubblica con grandi opere comporta solo vantaggi per poche aziende e politici, con soldi che finirebbero in Svizzera ed assunzione di extracomunitari sottopagati. Allora si dovrebbero assumere un milione di dipendenti pubblici in più, che spenderebbero e farebbero ripartire i consumi, peccato che ormai non si produce più nulla in Italia, quindi la ripartenza dei consumi sarebbe tutta a vantaggio di Stati esteri. I liberisti invece vogliono il taglio della spesa pubblica per diminuire le tasse. Questo provocherebbe un aumento di consumi ed investimenti privati che compenserebbero i diminuiti consumi pubblici con risultato a pareggio e vantaggi solo per i paesi da cui importiamo le merci, come visto sopra.
Questo spiega l’attendismo dei vari governi degli ultimi anni: badano solo ad evitare la crisi finanziaria (lo Stato non ha soldi per pagare stipendi e pensioni) aumentando le tasse, l’aumento delle tasse provoca recessione e crollo dei consumi interni, così si evita di importare e peggiorare la situazione. Si tira a campare sperando in una ripresa mondiale, nel senso che se gli altri lavorano bene e fanno le riforme allora ricominceranno a consumare ed importare dall’Italia. In poche parole, la situazione non è risolvibile e si spera nell’esportazioni, lasciando tasse e spesa pubbliche invariate.
Inutile dire che l’unica soluzione è l’indipendenza.
Domanda a Fassina: se lui fosse olandese o tedesco avrebbe voglia di pagare la pensione di Amato, gli stipendi delle varie Minetti o quelli delle decine di migliaia di guardie forestali del “Mezzogiorno”?