di LEONARDO FACCO
Dopo aver letto la lettera aperta di Alessio Morosin indirizzata a Luca Zaia, pubblicata su un quotidiano online, non posso che prendere atto che non è un caso che la parola "ciao", famosa in tutto il mondo, sia entrata nella lingua italiana del Novecento grazie all'apporto determinante dei veneti. Ciao è un termine veneto (più specificamente veneziano) s'ciao ([ˈst͡ʃao]), proveniente dal tardolatino sclavus, traducibile come "[sono suo] schiavo".
Si trattava di un saluto assolutamente reverenziale, variamente attestato nelle commedie di Carlo Goldoni in cui viene pronunciato con sussiego da nobili altezzosi e cicisbei; ne La locandiera, ad esempio, il Cavaliere di Ripafratta si congeda dagli astanti con «Amici, vi sono schiavo».
I veneti post 1866, amano le tradizioni e appena si trovano di fronte un potente pregano umilmente, implorano, scongiurano, invocano, chiedono con fervore. Anziché pretendere!
Dopo 30 anni di porcherie leghiste (e M
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