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Il “veneto felice” di comisso non è affatto tale

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di PAOLO BERNARDINI L’anno scorso, 2019, cadeva il cinquantenario della morte di Giovanni Comisso (1895-1969). Mi ero ripromesso di scrivere qualcosa per l’occasione, e lo faccio, ma con lieve ritardo. La questione che mi pongo non è tanto squisitamente letteraria, quanto, data la sede dell’intervento, politica. In che misura una grande generazione, e più di una, di scrittori veneti, e friulani (in fondo, in gran parte veneti anche questi ultimi) ha contribuito davvero alle sorti del Veneto nel XIX secolo? Costoro – per grandi che siano – non hanno forse qualche responsabilità, soprattutto nel non indicare chiaramente la differenze tra la patria italiana e quella veneta, e nel non schierarsi, decisamente, a favore dell’indipendenza? Lo fa, notoriamente, ma senza poi perseguire nessuno disegno di indipendenza, il solo Parise, in quelle parole citate all’infinito: “Il Veneto è la mia Patria. Sebbene esista una Repubblica Italiana, questa espressione astratta non
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