di PAOLO L. BERNARDINI
Posto dinanzi ad un centro commerciale e casinò, e a fianco di un gruppo malinconico di giostre, compresa una ruota panoramica da cui si gode un vasto panorama di miseria e squallore che giunge fino a Soweto, il Museo dell’Apartheid in qualche modo svetta tra le (poche) attrazioni turistico-culturali di Johannesburg. Racconta, certamente, mezzo secolo e oltre di tristezze e talora orrori, e a nessuno verrebbe ora in mente di difendere la segregazione razziale quando essa è imposta in forma di legge dello Stato, di uno Stato oltretutto che vede una minoranza decisamente dominare su una maggioranza, ed utilizzarla secondo i propri fini.
La conclamata (per legge) dichiarazione di superiorità dell’uomo bianco – siamo nel 1950 – ha qualcosa non solo di immorale, ma anche di antistorico. E paradossale poi il fatto che documenti governativi ufficiali dichiarano quanto sia…difficile stabilire la vera “razza” di un individuo. Meno male! Difficile di
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