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Nel mondo collettivista legalizzare diventa sinonimo di proibire

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di PIETRO AGRIESTI

Non tutti saranno d’accordo, ma per me il fatto che sempre di piĆ¹ si faccia presente al vecchio che pesa sul sistema pensionistico, al disoccupato che pesa sui sussidi pubblici, al malato che pesa sulla spesa sanitaria o che occupa un posto in ospedale, al fumatore, al bevitore, a quello che si fa le canne, a chi ha comportamenti sessualmente allegri, etc… a quello che fa arrampicata o altri sport estremi, o a quello che mangia male, che le loro scelte peseranno sulla collettivitĆ  sotto forma di tasse e cure e tempo e spazio tolto ad altri, dipende almeno in parte consistente dalla collettivizzazione delle nostre vite, inevitabile in questo contesto democratico, attraverso l’estensione del welfare e la crescita della tassazione.

Se domani legalizzassero l’eutanasia, anche questa diventerebbe mano a mano soggetta a questa progressiva politicizzazione e burocratizzazione. Non sarebbe il riconoscimento e il rispetto di un diritto individuale all’autodeterminazione. Con il quale io concordo pienamente per essere chiari. Sarebbe appunto un processo di burocratizzazione, politicizzazione e collettivizzazione. Finiremmo a fare pressione sulle persone, colpevolizzandole, e rinfacciandogli i costi che ci impongono, perchĆ© scegliessero l’eutanasia.

Lentamente il clima sociale, la mentalitĆ  e il dibattito pubblico arriverebbero lƬ. Tutto inizierebbe dal “riconoscimento di un diritto”, che ai piĆ¹ suona bene, ma alla fine il moralismo, la banalizzazione, intrinseci allo statalismo farebbero degenerare il tutto.

Questo pone un problema, perchĆ© comportamenti che per quanto mi riguarda non dovrebbero essere proibiti, vengono mano a mano, attraverso la legalizzazione, non semplicemente permessi o restituiti alla libertĆ  individuale, ma sostanzialmente collettivizzati, con un risultato che ĆØ, o corre facilmente il rischio di essere, almeno altrettanto mostruoso, ma anche peggiore, di quello che si ha col proibizionismo.

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