di LEONARDO FACCO
Il proibizionismo – inteso come divieto legale di beni, servizi e/o comportamenti – nasce quasi sempre con finalità etiche, morali o sanitario-igieniche, ma gli studiosi più attenti ne hanno rilevato gli effetti perversi. Dall’alcol negli anni Venti americani agli stupefacenti di oggigiorno, fino alle restrizioni sui comportamenti individuali, una letteratura ampia ne ha mostrato il fallimento strutturale.
Una serie analisi economica ci dimostra che questa politica crea solo mercati neri e incrementa incentivi perversi. Mark Thornton, in L’Economia della proibizione (1991), ha dimostrato che “il proibizionismo non elimina il mercato dei beni proibiti; lo trasferisce semplicemente a imprenditori criminali”¹. La proibizione crea infatti sovrapprezzi, minore qualità, violenza concorrenziale e corruzione. E' una storia che si ripete da almeno cento anni! L’economista Gary Becker, con Kevin Murphy, in “A Theory of Rational Addiction” (1988), mostra