di GILBERTO ONETO
La faccenda Kyenge ha riportato d’attualità la polemica lessicale: si deve dire “nero” e non “negro”. In Italia le riforme si fanno solo a parole e sulle parole. Gli invalidi sono passati da“handicappati” a “disabili” e “diversamente abili” senza una soluzione decente ai loro problemi. Né ha fatto del bene ai ciechi diventare “non vedenti”, come l’igiene di Napoli non è migliorata con la promozione degli spazzini a “operatori ecologici”. Anche peggio è andata agli omosessuali per cui si è trovato un ambiguo inglesismo, “gay”, che nello slang londinese d’origine era un nomignolo irriverente, il corrispettivo del milanese “cü alegher”.
Così non si deve dire che la signora Kyenge sia “negra”. La fobia viene dall’America dove nel tempo il termine ha trovato un’accezione negativa con la deformazione in “nigger”. Paradossalmente la cosa era partita dai “buoni”: i nordisti chiamavano con disprezzo
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