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Autonomia differenziata e le solite polemiche dei parassiti costituzionalisti

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di MATTEO CORSINI

Se una persona crede coerentemente nel principio di non aggressione, deve necessariamente sostenere il diritto di ogni individuo di fare ciò che vuole con ciò che legittimamente gli appartiene, sempre a condizione che ciò non comporti l’inizio di un’aggressione alla proprietà altrui. Ne consegue che ogni relazione e associazione tra individui dovrebbe avvenire solo su base volontaria.

Partendo da questo presupposto, è chiaro che il dibattito sulla autonomia differenziata risulti abbastanza indigesto. Il tutto anche sposando il punto di vista di Ludwig von Mises che riteneva che il diritto alla secessione fosse in capo a ogni individuo, ma che per motivi pratici avrebbe potuto essere esercitato solo da gruppi di persone.

Ho letto critiche alla Legge Calderoli sia da parte di chi ritiene che non faccia abbastanza per una reale autonomia, sia da parte di chi paventa la disintegrazione dell’unità nazionale. Devo dire che complessivamente trovo più convincenti le prime, non fosse altro per il fatto che, da libertario, trovo inammissibili le seconde. Le quali si aggrappano alla Costituzione (che non è affatto la più bella del mondo, a mio parere), facendone una questione di diritto, quando in realtà, molto più prosaicamente, la questione reale ruota attorno al trasferimento di denaro che sta andando a senso unico da un secolo e mezzo.

Giovanna De Minico, che è docente di Diritto Costituzionale all’Università Federico II di Napoli, si destreggia bene tra gli articoli della Costituzione e ritiene incostituzionale la Legge Calderoli. A suo parere, “la Calderoli trasforma la forma di stato regionale da cooperativo-solidale in competitivo-egoistico, senza neppure percorrere la via del 138, ma con legge ordinaria. La devoluzione avvierà una gara all’ultimo sangue tra le Regioni che peraltro partiranno disallineate: alcune avanti, altre indietro. Dunque, una gara che ha il vincitore in partenza perché la concorrenza impari tra i territori è la conseguenza, non detta, ma inevitabile di una precisa scelta del governo: anteporre la devoluzione alle politiche perequative, 119 e 117, accantonate definitivamente. Ne sia prova la dichiarazione del legislatore di non avere soldi per accelerare la corsa di chi è rimasto indietro. Ammettiamo però che il governo cambi idea e trovi i soldi per i lep, l’equiordinazione non sarebbe raggiunta perché i lep darebbero a ciascun cittadino la stessa cosa. Quindi, le distanze rimarrebbero invariate. In sintesi, la Calderoli in un sol colpo viola gli artt. 119 e 117, ma soprattutto fa a brandelli l’art.3 Cost”.

Qui mi pare di essere di fronte a qualcosa di simile al marxiano “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”: non basterebbe mettere a disposizione di ogni cittadino gli stessi livelli di servizio (con conseguente redistribuzione), perché così “le distanze rimarrebbero invariate”. Il tutto, pare evidente, dando per scontato che le distanze non siano minimamente dipendenti da cosa i cittadini fanno o non fanno nelle diverse parti del territorio nazionale.

De Minico conclude, in attesa delle previste pronunce della Corte costituzionale, che spetti “a noi il compito di parlare con le donne e gli uomini per illustrare gli inesistenti pro della differenziazione leghista e i tanti contra di questa diversità presunta ed egoista, ammesso che il popolo italiano dopo secoli di guerre per essere un’unica gente voglia tornare a spezzettarsi in tanti cittadini quante sono le regioni. Confido nella nostra intelligenza e nella sapienza della Storia“.

I tanti contro, per chi critica la Legge Calderoli dalla prospettiva di De Minico, si riassumono (mi si passi la semplificazione) nel terrore di perdere risorse economiche prodotte altrove. E allora, giusto per dare un’idea dello stato dell’arte, secondo la Ragioneria Generale dello Stato la spesa pubblica per cittadino vede in testa le regioni a statuto speciale, ma alcune delle regioni che hanno presentato ricorso alla Corte costituzionale hanno oggi una spesa pro capite ben superiore a quella delle regioni che hanno chiesto autonomia.

Per esempio, in Campania la spesa per cittadino è pari a 4.429 euro (22,6% del Pil regionale); in Puglia per ogni cittadino la spesa pubblica è pari a 4.479 euro (23% del Pil regionale). Al contrario, in Lombardia per ogni cittadino la spesa è pari a 3.514 euro (8,6% del Pil) e in Veneto è 3.681 euro (10,9% del Pil).

De Minico vorrebbe non solo che non si invertisse la rotta, ma ritiene che andrebbero aumentati i trasferimenti, evidentemente per portare le condizioni di arrivo allo stesso livello, dato che in partenza la spesa pubblica pro capite è già superiore nelle regioni contrarie all’autonomia. Ma questa è la situazione stratificatasi in oltre un secolo e mezzo. Quindi, se formalmente e teoricamente non è impossibile che, in un futuro non ben definito, la direzione dei trasferimenti si inverta, realisticamente e sostanzialmente si sta chiedendo che i cittadini di una parte del Paese continuino sine die a produrre ricchezza a beneficio di altri. Il che, nella logica, non mi pare diverso da una situazione di schiavitù (considerazione che riguarda in generale la tassazione). E’ questo lo spirito della Costituzione?

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1 COMMENT

  1. Mi pare che il Pd e l’Unione Europea si siano espresse contro l’autonomia differenziata. Rimane sempre la regola che per essere certi di essere nel giusto ed agire per il bene dei cittadini si debba sempre fare esattamente il contrario di quel che dicono il Pd e la Ue, quindi avanti con l’autonomia differenziata.

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