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Ecco le ragioni del fallimento del partito dei veneti

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di ALESSANDRO MORANDINI

Come ampiamente previsto dai più attenti osservatori dell’indipendentismo veneto, la performance del Partito dei Veneti si è rivelata catastrofica, al di sotto delle più nere aspettative. Delle cause il sottoscritto ha ampiamente argomentato fin dalla nascita del partito; e fin da quella data ha descritto, entrando nel particolare dei meccanismi sociali che potevano interessare l’impresa PDV, la misura della sicura sconfitta.

Qui di seguito propongo un sommario di quanto già precedente argomentato, aggiornato dalle constatazioni che si possono fare in seguito al risultato elettorale. In un prossimo articolo una fotografia dello stato dell’indipendentismo veneto. In uno successivo alcuni spunti di riflessione per il futuro.

Una considerazione metodologica

Mi si permetta un breve preambolo relativo al metodo usato nei precedenti scritti ed anche in questo articolo. Non mi sono mai interessate le polemiche sui nomi, nello specifico sul nome di Antonio Guadagnini, per un motivo preciso: occuparsi di come funziona la società significa occuparsi, principalmente, di interazioni tra individui e di azioni collettive; significa, quindi, prescindere dai protagonisti dei fenomeni e delle dinamiche oggetto dell’indagine; significa non concentrare l’analisi sull’animo, o sulle presunte inclinazioni morali, di un singolo individuo; significa considerare, prima al livello psicologico poi nell’interazione tra individui, ciò che può succedere in un determinato contesto sociale indipendentemente dalle persone che lo abitano.

Ho notato nel corso del tempo che soprattutto nei piccoli partiti sorti nell’ambiente indipendentista, tanto i tifosi quanto i detrattori sostengono o avversano persone: è un atteggiamento comprensibile e che fa parte della lotta politica, ma ne costituisce anche un limite. Lo sguardo sociologico invece individua nelle medesime persone incarnazioni di idee generali, progetti, credenze, opportunità, motivazioni, desideri, preferenze etc. Ognuna di queste ed altre “cose”, si intrecciano con le “cose” di altre persone, determinando fenomeni collettivi, tendenze, eventi. Per fare un esempio concreto, nell’indipendentismo veneto c’è chi avverte la necessità di un leader carismatico (Paolo Bernardini), chi la necessità di una élite politica degna di questo nome (Enzo Trentin). Entrambi i due citati, interessanti e raffinatissimi intellettuali esprimono la speranza che vengano occupati, nel mondo indipendentista, due ruoli indispensabili alla lotta politica; non ci si chiede, almeno inizialmente, chi debbano essere queste persone. Solo nel momento in cui appaiono si lega ad esse una speranza. La speranza che appaiano sullo scenario della lotta x, y, o z non viene alimentata in origine da nomi e cognomi, ma da come x, y o z si presenteranno, cosa faranno, quali risorse potranno utilizzare. Una volta apparse sul palcoscenico della politica, le incognite vengono sostituite con nomi e cognomi che, però, dovranno rispondere alle aspettative. Solo nei rapporti tribali, in quelli famigliari ed in quelli amicali la persona è più importante della funzione che esercita.

Non esclusività del messaggio e rete sociale forte

Questo è anche il motivo per cui il PDV non poteva decollare: perché il suo apprezzamento era confinato nel recinto di cieca fiducia che pochi fedeli consegnano a pochi leader, ed era ostacolato da un messaggio la cui proprietà politica apparteneva già, pur con le note ambiguità, ad un marchio di grande successo: il messaggio autonomista della Lega. Ad aggravare la situazione nel PDV anche il fatto che il messaggio non fosse così chiaro, anzi equivoco, confuso, perfino indecifrabile. Non si è tenuto conto, probabilmente, del fatto che l’elettore non si occupa della “filiera produttiva”, ma si rivolge principalmente ad un marchio, tentando di scorgere una certa qual coerenza tra marchio e prodotto. E’ apparso sin da subito, a dispetto delle intenzioni dei promotori, che si parlava ad un elettorato più o meno sicuro (e molto contenuto) di fedeli, e che, nonostante le convinzioni dei promotori, il PDV non era attrezzato per comunicare efficacemente con tutto il popolo veneto (l’attrezzatura a cui ci si riferisce non consiste nei media, ma nell’incastro tra idee che possono interessare il popolo veneto e credibilità della fonte emittente).

Il difetto ripetutamente osservato nell’indipendentismo veneto (dove in realtà è una risorsa), si è replicato nel progetto PDV: adoperare, qui per fini elettorali, le reti sociali forti, quelle cioè caratterizzate da relazioni calde, pensando che avrebbero potuto estendere l’efficacia di un messaggio. Le reti sociali forti funzionano al contrario: sono territori abbastanza circoscritti e composti da fiducia e conoscenza reciproca, ma non sono elastici: non si contraggono e non si espandono facilmente. Unire alcune sigle, o addirittura alcuni leader, in un partito privo dell’attrezzatura di cui si è detto, è un’operazione che non porta più voti della somma, un’operazione che, se va bene, annoda qualcuno tra i fili già esistenti, ma non contribuisce a tesserne di nuovi; un’operazione che, non esponendo nel proprio paniere di beni un prodotto caratteristico, non tocca le corde delle reti deboli, quelle che inseriscono le persone in relazioni fredde e strumentali, dove, nel caso dei partiti politici, la funzione ed il funzionamento del leader è più importante del legame di fiducia tra seguaci.

Dalla dismissione del messaggio indipendentista al pericolo della ricerca di un capro espiatorio

Si prenda in esame quanto si è potuto osservare nei mesi che hanno preceduto il momento del voto. In primo luogo si dovrà riconoscere che gli indipendentisti veneti, ovvero qualche migliaio di persone che abitualmente partecipa, o partecipava, o ha partecipato alle iniziative che in quest’ultimo decennio hanno manifestato pubblicamente il desiderio di indipendenza, hanno patito il Partito dei Veneti: un malcelato atteggiamento critico ha prevalso nettamente sull’entusiasmo che inutilmente i candidati hanno tentato di suscitare. L’iniziativa PDV ha gettato il mondo indipendentista in una crisi che nessun leader è riuscito a scongiurare. Anche in questo caso si noterà come un elemento cruciale della lotta politica, l’efficacia della leadership di partito, dipenda dalla chiarezza e dall’esclusività del messaggio che esprime.

Il disagio diffusamente patito ha a che fare con la sensazione di veder tradito lo scopo, il messaggio, il nucleo dell’idea che aveva portato i Serenissimi ad occupare il campanile di San Marco (evento ormai asceso nell’Olimpo del mito) e con ciò ad indicare l’orizzonte dell’indipendenza del Veneto: uno scopo che amalgama l’identità del popolo veneto, la sua gloriosa storia e, soprattutto, una visione esaltante del futuro.

Pensare adesso che Antonio Guadagnini sia l’unico responsabile della sconfitta del Partito dei Veneti è un errore, un difetto di focalizzazione, la ricerca di un capro espiatorio che rischia di produrre nuove avventure altrettanto sbagliate. Attribuire alla sua presenza nel PDV la causa del disastro equivale a indicare, come si diceva, in un solo cognome la responsabilità di scelte che invece sono state condivise e che riguardano la sostanza del Partito dei Veneti. E’ stata la condivisione di scelte disorientanti e confuse a determinare questa catastrofica performance. Se non si riusciva a galvanizzare neanche gli elettori più o meno sicuri, come si poteva pretendere di raggiungere percentuali decenti?

Perché la condivisione della battaglia per l’autonomia favorisce la Lega: le profezie che si auto-avverano

Ogni partito, ogni lista, ogni persona in competizione ha riempito il suo bagaglio di retorica pre-elettorale con le parole autonomia, autogoverno, autodeterminazione etc. Ai Veneti non sarà sfuggita la scomparsa della parola indipendenza, taciuta da tutti coloro che fino a pochi mesi prima ne vantavano, giustamente, l’esclusiva. Il risultato immediato di questa dismissione è stato che la competizione delle liste minori si è giocata su un terreno occupato, e non da ieri, dalla Lega; la quale Lega, conservando in tutto il nord Italia la maggioranza dei voti, resta agli occhi degli elettori l’unico strumento dal quale si può ottenere, in virtù della sua forza, la diminuzione dei trasferimenti dalle regioni virtuose verso il mezzogiorno. Si noti che la credibilità ed il sostegno della Lega dipendono soprattutto dal fatto di essere un partito che nasce, piaccia o no, in Padania; un partito che riesce ad esprimere (ed in qualche caso a risolvere parzialmente) i problemi del mondo del lavoro; un partito che manifesta, anche nel linguaggio e nel modo di percepire ed affrontare le questioni che indica come prioritarie, affinità con il popolo che rappresenta; un partito che espone nel suo “paniere di beni” prodotti appetibili (lotta all’immigrazione, difesa delle pensioni, legge e ordine), ad un bassissimo costo (il voto), e con la garanzia che il voto, pur se singolarmente non con conta nulla, sarà fatto valere grazie alla certezza di milioni di altri voti. Chi ha pensato il Partito dei Veneti sapeva che gli elettori, quando votano, restano necessariamente invischiati nel meccanismo della profezia che si auto-avvera?

Gli elettori indipendentisti: peso percentuale ed offerta elettorale.

I risultati di queste regionali avranno, forse, il merito di destare da un sogno quel migliaio di indipendentisti che discutevano, si prodigavano, si accapigliavano per sostenere l’uno o l’altra candidata. Il sogno non è, chiaramente, l’indipendenza del Veneto (che non è semplicemente un sogno ma una seria, nobile e radicale proposta politica), ma la convinzione di contare elettoralmente qualcosa rinunciando al messaggio, all’orizzonte, all’idea di società libera che solo gli indipendentisti che restano tali possono dire di rappresentare.

A conti fatti gli indipendentisti, che, lo si ricordi, non sono tutti i desideranti l’indipendenza del Veneto, ma solo quel paio di migliaia di persone che agiscono collettivamente o individualmente in nome dell’indipendenza del Veneto, elettoralmente non contano nulla. Contano ovviamente meno se non riescono a distinguere la loro posizione da quella di tutto il resto del mondo politico italiano. Già si sapeva che, per diversi motivi analizzati in altre occasioni, portare il messaggio, chiaro ed inequivocabile, dell’indipendenza del Veneto comportava per un partito che si presenta alle elezioni amministrative o politiche contraddizioni che riducono in modo importante la messe elettorale. Ma, come si è sempre sostenuto, in Veneto la presenza in campagna elettorale della formula “INDIPENDENZA DEL VENETO” conservava una sua specificità e quindi una importanza che non si misura con i seggi conquistati, ma con l’affermazione della presenza di una organizzazione partitica nella quale convogliare, eventualmente, il proprio desiderio di indipendenza del Veneto.

Una presenza che deve apparire, nel corso degli anni, stabile, ferma, continuativa e facilmente individuabile. Una presenza che, però, ha senso se parte di un progetto di lotta più generale e radicale. Le prospettive che hanno mosso i leader dei partiti indipendentisti fino ad oggi, quel fare e disfare per tentare di ottenere qualche seggio nelle istituzioni politiche italiane (operazioni che testimoniano mancanza di rispetto verso gli elettori, visioni di brevissimo termine; operazioni che molti elettori comprendono benissimo), hanno determinato il prevalere del leader e delle loro cerchie sull’etichetta e sul partito, cioè sulla garanzia di uno scopo indiscutibile. Se, come spesso si è ripetuto, al posto delle mutevoli formule con cui ci si è negli ultimi dieci anni rivolti agli elettori, ci si fosse dedicati alla costituzione di un partito fieramente, indiscutibilmente e definitivamente indipendentista, gli indipendentisti avrebbero potuto misurare il loro peso non tanto sulla quota percentuale degli elettori (comunque probabilmente ancora bassa, ma sicuramente non così bassa) quanto sull’affermazione e pubblicizzazione di una idea guida. Inoltre l’indipendentismo non sarebbe rimasto ingabbiato entro gli angusti confini dei soliti elettori e delle reti di cui già si è detto, ma avrebbe potuto rivolgersi ad una più estesa platea di desideranti l’indipendenza del Veneto.

Non si può dirlo con certezza, ma le attuali circostanze prodotte dalla crisi generata dal “governo della pandemia” potrebbero aver concesso al suddetto desiderio, nell’animo di ogni singolo individuo elettore, un ruolo più incisivo rispetto alla scelta finale.

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4 COMMENTS

  1. Se è vero, ed anche i più illuminati non possono che cedere all’ineluttabile, conseguenza logica vorrebbe che anche ogni buona proposta finisca in una costruzione ipocrita minata ab origine da un retropensiero. Il libertario non detesta, non fa sconti di logica, prima a se stesso. O almeno muore provandoci. 🙂

    • Gentile Eridanio lei segue, mi sembra, molto rigorosamente la necessità di essere razionali alla quale tutti siamo ancorati. Noi libertari lo facciamo meglio di altri. I suoi commenti sono utili ed apprezzabili. Mi permetto, a proposito di razionalità, di invitarla a riflettere sulla cosiddetta “funzione civilizzatrice dell ipocrisia”. E la ringrazio: non di rado i suoi commenti sono altrettanto, se non di più, interessanti degli articoli che si leggono.

  2. Quando istituzioni venete volontarie funzionassero meglio delle istituzioni imposte italiane, basterebbe solo staccare la spina italiana con una stretta di mano ed i veneti potrebbero tornare ad eleggere un doge che custodisca e non disegni o manipoli le istituzioni spontanee di successo che avrebbero consentito il ritorno ad una civile indipendenza. l’indipendenza per via evolutiva non crea odio, lotta, sfida, ma si prende il rischio di provare a far emergere un più libero esercizio della proprietà da parte di individui responsabili liberati dal mito, dalla superstizione e dall’indirizzo paternalista di ogni struttura politica finalista. L’indipendenza è il continuo viaggio e non la meta ideale. Non esiste un punto statico di mediazione, ma il continuo e dinamico mantenimento di un equilibrio non predeterminabile e non predeterminato. La gente vive in questa specie mondo e gli incentivi all’azione vengono apprezzati se servono a renderla più indipendente dalla non eradicabile incertezza della condizione umana.
    ….elezioni: …roba da ….trattare con pinze,… marginali, ….dominio di arruffapopoli

    • È vero, ma sembra che non si riesca a farne a meno, delle elezioni. Sono una delle faccende più detestate dai libertari, che però riguardano la società.

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