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Heritage Foundation, ha capito la malattia americana ma non la cura

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di MATTEO CORSINI

Da oltre quarant’anni la Heritage Foundation pubblica in anticipo rispetto alle elezioni presidenziali americane il “Mandate for Leadership”, rivolto essenzialmente ai conservatori. Secondo il presidente della Heritage Foundation, Kevin Roberts, “la lunga marcia del marxismo culturale attraverso le nostre istituzioni si è compiuta. Il governo federale è un colosso, armato contro i cittadini americani e i valori conservatori, e la libertà è sotto assedio come mai prima d’ora”.

Difficile dargli torto. Non diversamente da altrove, nel corso del tempo è aumentato il perimetro di azione del governo federale, con la tendenza a delegare alle strutture ministeriali la vera e propria redazione dei testi normativi e amministrativi. Di conseguenza il potere sostanziale è detenuto da un apparato burocratico formalmente dipendente dai vertici politici, ma sostanzialmente autoreferenziale e in grado di agevolare od ostacolare i provvedimenti, a seconda che siano condivisi o meno.

Ciò che mi sembra illusorio, al contrario, è la soluzione individuata dalla Heritage Foundation, che consisterebbe nella costituzione di un database di circa 20mila manager e professionisti di orientamento conservatore da cui pescare i circa 10mila soggetti oggetto di spoil system in caso di vittoria dei Repubblicani.

Se si ritiene che l’azione del governo federale sia troppo pervasiva, la soluzione non consiste nel cambiare le persone, ma nel ridurre il perimetro di intervento. In caso contrario, il rischio concreto è che quelle persone, una volta “assaporato” il potere e la sicurezza sostanziali di cui si gode in certe posizioni senza essere neppure costretti a chiedere il voto, cerchino a loro volta di perpetuare se stessi in quei ruoli.

Perché il potere, piaccia o non piaccia, ha un effetto seducente a cui l’essere umano difficilmente rinuncia volontariamente una volta assaporato.

IL DISCORSO DI ROBERTS A DAVOS

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