di SALVATORE ANTONACI
Dalla derelitta Spagna, alle prese con gli indipendentismi per nulla intenzionati a fare sconti allo stato unitario, ci arriva una lezione di diritto che dovrebbe far vergognare i tromboni pseudo - patriottici di casa nostra sempre pronti alla morte (altrui) quando si tratta di correre in difesa dell'onore offeso di inni, bandiere e di ogni residuo armamentario simbolico - retorico.
Ancora è viva, pur se in via di salutare dissolvimento, la polemica sui fischi alla marcetta di Mameli nell'imminenza della finale di Coppa Italia fra Napoli e Juventus. Fiumi di inchiostro, alti lai e deprecazioni rabbiose hanno fatto seguito alle bordate di disapprovazione grandinate più che piovute dagli spalti dello stadio olimpico di Roma, pare provenienti dai settori della tifoseria napoletana. Risultato della contestazione: una sanzione pecuniaria di 20.000 euro comminata alla società partenopea, colpevole, per la giustizia sportiva, di non aver saputo impedire lo "sg
la Spagna era nata dall’unione di due corone.
L’attuale Costituzione spagnola parla di “popoli spagnoli” al plurale.
E’ in corso un processo di dissoluzione controllata, condiviso dal centro.
La Spagna è uscita dal suo fascismo da sola, convinta; non per compiacere i vincitori della guerra in cui s’era cacciata (vi ricorda qualcosa?)
L’inno nazionale spagnolo non ha neanche un testo ufficiale. Gli inni catalano e basco sono legali.
E’ un altro mondo. Democratico.