di LUCA P. BERNARDINI
Tra i grandi veneti del Novecento Diego Valeri occupa una posizione relativamente appartata. Non si conoscono, o quantomeno non conosco, personalmente, di lui, affermazioni perentorie di buonissimo auspicio per la nostra lotta indipendentistica, come quella, ad esempio, celeberrima, di Goffredo Parise, che giova sempre riportare: ‘Il Veneto è la mia Patria. Sebbene esista una Repubblica Italiana, questa espressione astratta non è la mia Patria. Noi veneti abbiamo girato il mondo, ma la nostra Patria, quella per cui, se ci fosse da combattere, combatteremmo, è soltanto il Veneto. Quando vedo scritto all'imbocco dei ponti sul Piave fiume sacro alla Patria, mi commuovo, ma non perché penso all'Italia, bensì perché penso al Veneto.’
Valeri è diverso anche da Piovene, e da Zanzotto, finalmente, nella sua dimensione appartata e discreta di professore, innanzi tutto, poi di critico e politico, tutti, alla fine, per citare Montale, ‘mestieri secondi’,