di GILBERTO ONETO
Finalmente ci sono davvero riusciti a unire l’Italia. Non ci erano riusciti con il libro Cuore e neppure con le guerre: c’è riuscita la mafia, c’è riuscita la corruzione. Ormai non c’è più angolo della felice Repubblica (anzi Reppubbblica) che non sia frequentato e gestito da truffatori, ladruncoli, prepotenti, margniffoni e trafficoni. Si mettono le mani alla cieca nel grande sacco degli amministratori, dei politici e dei burocrati e con quasi assoluta certezza si tira su uno sporcaccione o un ladro. Fanno eccezione alcune amministrazioni locali padano-alpine ma è solo questione di tempo: il contagio prosegue inesorabile. Anche chi riesce a conquistare qualche posizione di potere proprio sull’onda del disgusto per il malaffare, si trova invischiato in un sistema “italiano” che è commisurato al malaffare, costruito proprio per trafficare con i soldi pubblici. Se proprio non si è adamantini, si finisce per cedere, non fosse altro che per stanchezza. Ancora peggio va a chi si cerca strani alleati. È quello che è successo alla Lega. Chi non era attrezzato in forma robusta in cultura e moralità, si è fatto corrompere e travolgere. Poi ci sono stati anche quelli che si sono fatti guastare volentieri, quelli che sono saliti sul Carroccio proprio per trusare, quelli che ne hanno la vocazione antropologica. La frequentazione con Forza Italia poi ha fatto il resto: una congrega di furbacchioni ben equipaggiati di coppole, grembiulini e serramanico.
Le mafie sono una invenzione meridionale: Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra non sono prodotti di arretrate valli alpine né di nebbiose pianure. Sono la più grande (ovviamente non in senso morale) invenzione del Meridione d’Italia, ma in realtà dell’Italia unita. Quando era divisa in vituperati staterelli, la penisola ha prodotto arte, cultura e ricchezze in misura superiore a ogni altro angolo di mondo; da che è unita in una “grande nazione” contribuisce alla vita universale essenzialmente solo con organizzazioni malavitose. Liberi, gli italiani hanno prodotto il
Rinascimento; uniti solo corruzione e malavita. Da Garibaldi in poi, i picciotti si sono lanciati con ardore patriottico alla conquista e all’unificazione dello stivale. E ci stanno riuscendo, sia corrompendo e “italianizzando” i pirloni padani, sia gestendo la cosa con manodopera etnicamente affidabile. Anche nella Lega ci sono stati personaggi dai cognomi padanissimi che si sono venduti per caramelle, pasticcini e pranzi di nozze, ma le migliori prove di “italianità” le hanno date oriundi, “secondegenerazioni” o italiani veraci con la pochette verde.
Non è una constatazione faziosa rilevare che la malavita organizzata sia una invenzione meridionale, che si sia appropriata di gran parte del Meridione e che si stia espandendo in Padania soprattutto grazie all’immigrazione meridionale. Di questo dovrebbe ricordarsi Salvini quando si illude di poter esportare le idee di libertà, autonomia e liberismo della Lega anche a Sud. Ci sono – ci mancherebbe – persone sincere e per bene che si rendono conto che la loro salvezza debba passare solo attraverso una difficile e radicale trasformazione; ma ci sono anche tanti che vedono nella Lega solo una ulteriore occasione per farsi “italianamente” i fatti propri. È in ogni caso un fenomeno che incide solo marginalmente nella società meridionale: autonomia, responsabilità, democrazia diretta, correttezza e impegno hanno poca audience a quelle latitudini. In fondo a troppi va bene così e questo spiega anche i numeri ridicoli raggiunti dalle liste “Noi con Salvini” alle ultime elezioni. E, visti certi ceffi che le frequentano, viene da dire che sia stato meglio così. Se loro vogliono – ripeteva provocatoriamente Miglio – un regime mafioso, se lo facciano; se quella è la loro vocazione, che la seguano. È qui che noi dobbiamo liberarci, è qui che noi dobbiamo combattere la nostra battaglia di libertà e identità. L’Italia è mafia. Noi ci dobbiamo liberare dalla mafia e dall’Italia. Via la mafia, via l’Italia! Via l’Italia, via la mafia!

