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Ma la cina ha davvero svalutato lo yuan?

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YUAN 7 1 BREAKdi GERARDO COCO

Con la correzione valutaria dello yuan la Cina ha voluto lanciare un messaggio preciso: l’appoggio incondizionato che fino a oggi ha concesso al dollaro non è più scontato.

Nel mese di agosto l’evento economico che ha dominato l’attenzione è stata la svalutazione del renminbi, nome ufficiale della valuta cinese, chiamata anche yuan per designare l’unità di conto (gli acquisti si fanno in yuan, non in renminbi, allo stesso modo come in Inghilterra si fanno in pound e non in sterline). La svalutazione del renminbi è seguita al crollo in luglio della borsa di Shangai quando l’indice, è precipitato del 30% scuotendo i mercati asiatici e ripercuotendosi sulle altre borse. La borsa di Shangai è molto giovane ed è un’esagerazione averne paragonato il crollo a quello del 1929. Su questo evento, quindi non c’è molto da dire se non che era molto prevedibile. Quasi due milioni di cittadini cinesi per la prima volta hanno affrontato in massa il mercato azionario salito nel 2014 del 150% e banche e brokers hanno esteso incautamente il credito a investitori dilettanti e avventati. Quando i corsi azionari hanno cominciato a calare, l’euforia si è trasformata in pessimismo e poi in panico forzando le vendite per pagare i debiti e coprire le perdite. Le crisi borsistiche seguono sempre lo stesso copione: si acquistano azioni oltre i limiti delle proprie potenzialità economiche indebitandosi con un’alta leva finanziaria. Le crisi a cui assisteremo in un futuro molto prossimo saranno molto peggiori e non riguarderanno la Cina.

Più importante è commentare la cosiddetta svalutazione del renminbi di cui sono state date spiegazioni semplicistiche e fuorvianti. A partire dall’11 agosto e nei tre giorni successivi, la Banca popolare cinese svalutava del 3% il renminbi e gli analisti, suggestionati dalla precedente debacle borsistica, hanno lanciato allarmi su un’imminente crisi catastrofica, facendo passare la Cina addirittura per un paese a fine corsa che, per salvarsi, starebbe inasprendo la guerra valutaria iniziata nel 2010, quando gli stati sovrani in crisi hanno tentato di sottrarsi reciprocamente quote di export con svalutazioni competitive. Ma com’è possibile parlare di svalutazione quando le principali valute oscillano anche molte volte al giorno dall’1 al 3%? Cosa avrebbero dovuto dire analisti e commentatori, allora, quando l’anno scorso lo yen giapponese e l’euro si sono svalutati sul dollaro di oltre il 20%? Riferendosi all’episodio cinese la famosa agenzia Bloomberg, seguita da tutta la stampa estera, ha parlato di svalutazione shock. Che sciocchezza!.

Indubbiamente, come conseguenza della crisi globale, la Cina ha rallentato il suo impetuoso sviluppo ma questo c’entra ben poco con la presunta svalutazione. I motivi che inducono un paese a svalutare sono molto più complessi di quello di aumentare l’export che porta, prima o poi alla distruzione valutaria. Non è certo intenzione della Cina adottare questa politica suicida seguita dalla maggior parte dei paesi. Per capire la manovra cinese bisogna aver chiari alcuni punti.

yuan cinese1- A differenza del cambio fra la maggioranza delle valute che fluttua secondo la domanda e l’offerta, quello tra dollaro-yuan è fisso da decenni, obbligando la Cina a seguire la politica monetaria statunitense: quando gli USA aprono il rubinetto della propria valuta, la Cina deve fare altrettanto creando yuan, perché se non lo facesse, l’eccesso di dollari lo rivaluterebbero e la parità salterebbe. Quando la Cina aumenta le esportazioni verso gli USA, la sua banca centrale deve acquistare i dollari incassati dagli esportatori cinesi. ma per cambiarli in valuta locale mantenendo  il cambio fisso, deve crearla in continuazione. Se il cambio fosse libero lo yuan si apprezzerebbe verso il dollaro. La continua creazione inflazionistica di dollari da parte degli Stati Uniti è stata così esportata in Cina inflazionando il suo sistema bancario e alimentando le sue bolle immobiliari e azionarie.   

2- In questi anni di crisi, il dollaro, percepito come moneta rifugio, ha attirato capitali da tutto il mondo e si è enormemente rivalutato, rivalutando di conseguenza, attraverso la parità fissa, anche lo yuan che a sua volta si è rivalutato rispetto allo yen giapponese, al dollaro australiano, a quello canadese, all’euro e alle valute dei paesi emergenti dell’America latina e del sud est asiatico. E’ soprattutto rispetto a questi ultimi paesi che lo yuan, al pari del dollaro, si è sbilanciato, per cui un minimo di aggiustamento valutario era necessario per riportare lo yuan in linea con il mercato. Il cambio fisso, poi, ha costretto la Cina ad accumulare trilioni di riserve in dollari che ha trasformato principalmente in bonds, finanziando in tal modo il perenne deficit commerciale e fiscale degli Stati Uniti e permettendogli la politica di tassi di interesse zero grazie alla quale la loro economia drogata sta ancora in piedi. Ma ora sta maturando la rivoluzione dello yuan che romperà definitivamente il legame con il dollaro. In un articolo scritto nel gennaio del 2015, intitolato Dopo il franco svizzero a chi tocca?, commentando la rottura della parità del franco svizzero con l’euro, anticipavamo quella tra yuan e dollaro, la madre di tutte le parità, ormai anch’essa in corso perché sempre più insostenibile.

3- Se la Cina avesse voluto svalutare in modo efficace per rispondere ai quantitative easing giapponese e europeo, avrebbe dovuto abbattere il valore dello yuan rispetto al dollaro del 20% ma allora avrebbe subito consegnato alla storia il cambio fisso. Le azioni drastiche non fanno parte della cultura strategica cinese, che consiste invece nel manovrare la valuta per portarla a riflettere i propri fondamentali economici e non più quelli del dollaro, senza scosse. I commentatori si sono infatti completamente scordati che lo yuan, come moneta che rappresenta la seconda potenza mondiale, per essere ammessa nei diritti speciali di prelievo del FMI, il club esclusivo delle principali monete di riserva, dovrà essere pienamente convertibile a valori di mercato. Come si sta preparando la Cina a internazionalizzare e liberalizzare la valuta? Si consideri l’astuzia di questa sua manovra. Il deprezzamento dello yuan prima di stabilizzarsi intorno al 3%, raggiungeva in agosto un calo momentaneo del 5%. In quel momento la Cina vendeva nel mercato $100 miliardi di bonds statunitensi incassando dollari. Siccome un deprezzamento dello yuan del 5% significa un apprezzamento simmetrico del dollaro, la vendita dei bond faceva guadagnare alla Cina $ 5 miliardi di colpo. E’ come avesse venduto per 100 incassando 105. E’ quindi probabile che nel futuro applichi ulteriori correzioni sul cambio combinandole con vendite delle riserve in debito americano di $1.5 trilioni e di cui vuole gradualmente sbarazzarsi. A differenza dei commentatori occidentali che credono ancora alla mitologia della ripresa americana, la Cina sa che si tratta di un bluff e che il dollaro, intrinsecamente debole per i deficit commerciali e fiscali, è destinato a perdere la sua egemonia. L’internazionalizzazione del renminbi che comporta la liberalizzazione dei capitali, richiede una moneta forte, non debole. Nessuno investirebbe in uno yuan debole per vedersi svalutati gli investimenti in questa moneta. Avere monete deboli significa avere economie deboli e non è il fine del Dragone, che ha già predisposto hub valutari in vari paesi occidentali e asiatici per la conversione diretta con il renminbi e un’infrastruttura monetaria per far concorrenza al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale.

4- Chi sta per cambiare la mappa economica e finanziaria mondiale e, soprattutto, un sistema monetario in stato di avanzata decomposizione, non può adottare la politica delle svalutazioni competitive che sono l’espediente dei paesi in decadenza. Con la sua correzione valutaria, la Cina ha voluto anche lanciare un messaggio preciso, soprattutto agli Stati Uniti che si stanno preparando a nuove elezioni: l’appoggio incondizionato che fino a oggi ha concesso al dollaro intervenendo per accumulare riserve, non è più scontato. Senza il sostegno del loro maggiore creditore, la prima moneta di riserva non avrebbe vita lunga: i tassi di interesse andrebbero alle stelle determinando il crollo del valore del debito e quello della borsa che sarebbe ben peggiore di quello di Shangai. Stiamo più attenti a quello che succede: il paese ad andare fuori corsa nel futuro potrebbe essere gli Stati Uniti, non la Cina.

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2 COMMENTS

  1. Non potranno taroccare i dati all’infinito.
    Sia in cina che altrove.
    Non potranno infarloccare la gente per sempre.
    E la gente dovrà prima o poi estrarre la testa dalla sabbia.

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