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Pandemia, perche’ il modello italiano è il peggiore d’europa

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di ANDREA MACCIÒ

Con l’efficace pamphlet “Epidemie e controllo sociale”, il sociologo dei media della Iulm Andrea Miconi, di Milano, mette sotto accusa il cosiddetto “modello italiano” di lotta al Covid-19.

Uno dei luoghi comuni più diffusi è che il Covid abbia riportato in vita il noto acronimo T.I.N.A. (There is not alternative) attribuito a Margaret Tatcher. Insomma, siamo di fronte a una pandemia! Non si può fare altro che affidarci perinde cadaver a Conte e all’Esercito della Salvezza dei virologi e degli infermieri eroi, delegando loro le nostre vite. Il rovescio della medaglia della T.I.N.A. pandemica è quello complottista: è indifferente chi governa, tanto “loro” manovrano tutto dai caminetti del Club Bildeberg. Simboleggiata dall’immagine grottesca-evocata in commenti che ho letto-di Rockfeller che telefona a Rocco Casalino per dettargli se a Natale ci si potrà spostare tra Nereto dove risiedi e Sant’Egidio alla Vibrata dove risiede la mamma (i paesi abruzzesi li ho citati a caso, a simbolo dell’Italia profonda della provincia).

Miconi, astenendosi da ogni ipotesi dietrologica, ci invita tuttavia a riflettere sul perché il piano emergenziale italiano fosse pronto da gennaio, sul perché nessuno se ne sia accorto fino al venerdì nero di Codogno e sul perché dall’Italia è partito il contagio politico del lockdownismo.

Il cuore del modello italiano è per Miconi la colpevolizzazione del cittadino. Di fronte all’assoluta incapacità gestionale dimostrata dal governo e dalla giunte regionali del Nord, in primis quella lombarda – che prima hanno minimizzato il virus “aperitivando” sui Navigli e nelle altre grandi città per poi mettere di fatto dopo poche settimane 60 milioni di persone agli arresti domiciliari – la comunicazione istituzionale e il sistema dei media italiani hanno gettato la croce su una serie di capri espiatori infinita, dai runners alle lesbiche, dai cinofili ai bambini, dagli anziani ai bagnanti, dai milanesi ai migranti.

Secondo Miconi, la propaganda tossica del #restoacasa, oltre a contenere un aspetto religioso e moralista sostenuto da Manzotti, conteneva in sé anche lo slogan successivo “c’è troppa gente in giro” che ha scatenato prima la crociata contro la movida estiva e poi quella contro lo shopping di Natale.

Per capire il modello italiano, afferma Miconi, si deve far riferimento alla differenza fra comunità e società. Fra un clan unito da legami di sangue o comunque “caldi” e un’associazione volontaria di uomini liberi. Il “restoacasa” ha sostituito la società con la comunità, uccidendo la libertà e trasformando chi usciva in un traditore della comunità stessa, e lo sceriffo da balcone nell’archetipo del cittadino virtuoso.

Caratteristica di questa retorica è l’associazione, rilevata più volte personalmente dall’analisi dei commenti sui social, tra fatti assolutamente non legati fra loro. Un bacio ad Acerenza o un runner a Francavilla prima o poi avrebbero prodotto la sfilata macabra delle bare di Bergamo. È ovvio che non c’è nessuna correlazione, ma la visione dominante è questa.

 Anche a livello contrario, con l’incredibile fobia del Nord scatenata da alcuni sindaci liguri (che invitavano a segnalare “le luci nelle case degli altri” per citare il titolo di un libro di Chiara Gamberale) e dei governatori del Centrosud, che hanno minacciato più volte prima dell’estate di chiudere le frontiere ai turisti provenienti dal Nord o di obbligarli al patentino sanitario: De Luca, Emiliano, Solinas, Bardi, Musumeci in particolare. Per loro un turista o un residente rientrante dal nord poteva provocare una strage nelle loro regioni.

Miconi ha il coraggio di affermare che l’Italia (assieme a Francia, Spagna e Grecia ma per periodi brevissimi) è stato l’unico paese a interpretare il lockdown non come blocco delle attività, ma come arresti domiciliari e divieto di uscire di casa. O meglio, obbligo di giustificare perché si esce di casa. Un abominio costituzionale inimmaginabile solo fino a un anno prima.

Uno dei motivi di questa scelta è secondo Miconi l’approccio economicistico e utilitaristico. Le fabbriche sono rimaste aperte a marzo e aprile-come lo rimane l’Ilva di Taranto nonostante le inchieste giudiziarie-perché considerate “strategiche” come se sul lavoro non ci potesse contagiare, mentre i droni perseguitavano senza pietà runners e coppiette.

Un altro aspetto messo in rilievo da Miconi è lo stato di polizia di fatto messo in atto nel primo lockdown e in quello novembrino a macchia di leopardo.

Come si fa a definire se una persona esce di casa “per stato di necessità” in assenza di una definizione oggettiva di necessità, se non le fumose raccomandazioni dei Dpcm? Per uno sportivo non agonista fare attività fisica è necessario? Andare a trovare la compagna o il compagno è necessario? Stare all’aria aperta è necessario? Tutto è stato molto lasciato alla discrezionalità del singolo controllore, caricato di una responsabilità enorme, la politica contiana del “vi concedo” fino ai massimi livelli. In assenza di una sola norma penale, i dpcm sono provvedimenti amministrativi, sono fioccate multe surreali ricostruite magistralmente da Miconi (spesso poi annullate).

La passione dei media per lo stereotipo ha fatto il resto. Dall’esodo alla morsa del gelo, dalla morsa dell’afa alla città blindata, i media italiani parlano per formule standard fino ad arrivare ai “furbetti del fine settimana” e alla “caccia all’asintomatico” e nell’affaire coronavirus si sono distinti per aver completamente abdicato al ruolo di “cani da guardia” del potere sposando la retorica governativa e pubblica. Solo nella seconda fase si sono smarcate lievemente le testate vicine al centrodestra senza mai rompere veramente con le versioni ufficiale, e Report con il servizio sul Ministro della Salute e l’Oms.

Altra particolarità italiana è la spettacolarizzazione della guerra fra scienziati. Tarro e Gismondo, contro Burioni. Burioni contro Capua. Galli e Pregliasco contro Zangrillo. Bassetti contro Crisanti. Queste dispute virologiche in diretta tv, nei salotti di Fazio e Barbara d’Urso o nei talk show politici hanno di fatto sostituito l’intrattenimento tradizionale creando vere e proprie tifoserie virologiche (a questo punto non mi sorprenderei dello scontro fisico fra opposte fazioni in barba al distanziamento sociale). Scienziati protagonisti di dichiarazioni confuse e contradditorie, che parlavano in libertà senza aver contezza precisa di un virus che non conoscevano, opinionisti più che specialisti, o moralisti pronti a dispensare raccomandazioni.

Nell’approccio italiano ci sta anche il neo-bigottismo che opera la distinzione fra congiunti e no, fra relazioni morali e immorali, del quale ho già parlato nell’articolo ancora bigotti. Anche in questo caso Miconi smentisce la tesi del “tutto il mondo è paese” almeno in Europa solo in Italia il Premier e il Cts hanno compilato la lista ufficiale delle persone “frequentabili” e quelle no.

Miconi ragiona inoltre sull’App Immuni e sui rischi connessi al trattamento digitale dei dati sensibili sanitari delle persone. Il libro è stato scritto entro maggio, oggi l’assoluta inefficienza di questo strumento è palese. Ne rimane però l’inquietante filosofia.

Con il ritorno del balletto apertura/chiusura il libro di Miconi torna attualissimo. Con lo shopping di Natale torna l’isteria punitiva degli amministratori locali, lieti fino al giorno prima della ripartenza dell’economia e titolo da clickbait come “Treviso, shopping e spritz ma gli obitori sono pieni” (La Stampa, 14 aprile 2020).

Insomma, il modello italiano è il peggiore d’Europa ed è responsabile di aver dato il via al contagio mentale dei lockdown avendo nello stesso tempo un altissimo numero di morti ufficiali del Covid.

È con i sussidi a pioggia, la sostituzione di alcuni lavori con i ristori e l’autoritarismo politico, e del capitalismo, con il privilegio dell’apertura a ogni costo di alcune attività ben più a rischio di contagio della corsetta del runner a discapito della sicurezza dei lavoratori. Il virus è arrivato a rafforzare dispositivi di controllo sociale sempre più pervasivi. Mentre l’abbraccio mortale tra capitalismo e comunismo, estraendo il peggio dei due sistemi economico-politici, è proprio quello tipico del capitalismo di stato cinese particolarmente apprezzato in Italia dal MoVimento 5 Stelle, azionista di maggioranza degli ultimi due governi.

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