di GIORGIO BARGNA
Sono e rimarrò sempre convinto di un idea: le piccole realtà sono di fatto le più grandi depositarie di rapporti sociali e civici robusti. Chiunque si adoperi nella loro consolidazione e proposizione, opera, senza dubbio, a favore della ricostruzione sociale e politica di un Paese.
Non illudiamoci, comunque, che le nostre “piccole patrie”siano integralmente immuni dalla disgregazione civica, sociale e (soprattutto) morale che sta attanagliando la nostra epoca … questo va esplicitato.
Vale a dire che dovremo andare a ridisegnare da capo il senso di città, di comunità,di civicità; sensi che negli anni hanno subito una deviazione non indifferente. Occorrerà, certamente, sviluppare il senso di città considerando anche la propria specifica dimensione storica e la proiezione universale imprescindibile.
Ne ho già scritto, amo il modello medioevale basato si su una identità specifica, ma aperto, in modalità universale, sia commercialmente che cult
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Frank Kemp Salter sostiene che man mano la città diventa più etnicamente variegata, meno i cittadini si sentono parte di un’entità più grande e perciò meno sono disposti a contribuire alla società.
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http://deathofjohannesburg.blogspot.com
Pensare che sia principalmente la cultura a creare le città è tragicamente errato. Sono i distinti popoli ognuno con le sue distinte caratteristiche formate nel corso di migliaia di anni di evoluzione a creare le culture e perciò le città. Johannesburg non somiglia più alla città europea che era in passato, ma a una africana ed è logico che sia così. Nella stessa maniera Reykjavik è una citta ordinata e pulita non perché la cultura l’ha fatta così ma piuttosto perché la gente è ordinata e ci tiene allo spazio pubblico e ai valori civici.
Se gli indipendentisti non sono capaci di riconoscersi parte di un’etnia unica e distinta allora saranno i nuovi arrivati a ricordarglielo con la violenza.
Robert Putnam va letto sul multiculturalismo e la conseguente erosione del capitale sociale.