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Romeva: “prima o poi la spagna dovrà sedersi al tavolo coi catalani”

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di REDAZIONE

Perché circa la metà dei cittadini della Catalogna si dice favorevole all’indipendenza dalla Spagna? A che punto è la “road map” verso un nuovo Stato disegnata dal governo regionale catalano (Generalitat de Catalunya), con un referendum popolare sull’indipendenza programmato per il settembre del 2017? E quali sono gli scenari possibili in vista della reiterata opposizione del governo centrale di Madrid alla celebrazione di una consultazione popolare?

Lo abbiamo chiesto a Raul Romeva, ministro per le Relazioni con l’estero del governo autonomo della Catalogna, intervistato negli studi di Askanews.

“La cosa più importante è che c’è una grande maggioranza di catalani che vuole decidere sul suo futuro. L’impegno chiaro del governo della Generalitat è garantire che questo 80% della popolazione che vorrebbe risolvere la situazione attuale andando al voto, lo possa fare. Di questi, una parte crescente ritiene che la soluzione ottimale sarebbe che la Catalogna fosse uno Stato. Questo è il risultato di un fallimento, il fallimento del cosiddetto ‘Stato delle autonomie’, il fallimento dello Stato di diritto della Spagna che nacque dopo la fine della dittatura franchista con il patto costituzionale del 1978. Nell’anno 2010 una sentenza del tribunale costituzionale spagnolo, un tribunale altamente politicizzato, ha rimesso in discussione parti cruciali dello Statuto d’autonomia catalano, e ha provocato una forte delusione in gran parte dei cittadini catalani , che considerano che oggi lo Stato spagnolo non rappresenta la diversità nazionale, sociale, linguistica, culturale e storica, così come dovrebbe essere”.

Ma a che punto è il processo per cercare di ottenere l’indipendenza?

“La tappa più immediata è, sulla base della volontà della chiara maggioranza del parlamento della Catalogna, proporre per un’ultima volta allo Stato spagnolo di mettersi d’accordo su come svolgere un referendum. In questo negoziato che noi vorremmo con lo Stato possiamo discutere la domanda, la data, il quorum, e perfino una moratoria nel caso in cui vincesse un ‘no’ all’indipendenza. Siamo in questa fase, cercare di sederci a un tavolo con lo Stato per decidere assieme come fare questa consultazione che la grande maggioranza del popolo catalano vuole. Fra l’altro nell’ambito dello Stato, il 40% degli spagnoli secondo i sondaggi crede che la Catalogna dovrebbe poter votare. Ora, se non potremo sederci per definire un referendum concordato, il governo catalano ha l’obbligo di far svolgere un referendum, e in questo caso le condizioni le stabilirebbe il parlamento della Catalogna, da cui abbiamo avuto il nostro mandato democratico”.

Ma se il governo centrale di Madrid continuerà a insistere – come ha fatto finora – sull’impossibilità di qualsiasi negoziato, che tipo di atteggiamento adotterà il governo regionale catalano per superare questo ostacolo che lascia intravedere un grave conflitto di sistemi giuridici?

“E’ importante sottolineare che per molti anni c’è stata una mobilitazione pacifica a cui hanno partecipato sempre più persone. Questo spiega la nostra determinazione. Come faremo? Con determinazione: c’è questa determinazione pacifica dei cittadini che insistono sulla necessità ferma di compiere un atto democratico. Oltre a questo, c’è un altro aspetto chiave che è il negoziato. Il punto è: si può negoziare prima oppure dopo, una volta che c’è il risultato. Se fosse negativo, se la maggioranza non volesse un nuovo Stato, la discussione ovviamente finirebbe qui. Ma se la maggioranza dicesse di sì a uno stato nuovo, noi avremmo l’obbligo come governo di trasformare la Catalogna in uno stato. In questa nuova realtà la Spagna dovrà decidere cosa fa, su cose molto concrete. Ad esempio la riscossione delle imposte – noi saremo pronti a farlo – la sicurezza sociale, la gestione del debito, tutti aspetti che riguardano la Catalogna, sì, ma anche la Spagna. Se la Spagna continuerà a non voler intavolare un negoziato, alla fine dovrà valutare il costo di non affrontare questa realtà e non negoziare. E’ un costo per la Spagna ma anche per il resto d’Europa. Se non c’è la volontà di ammettere che in Catalogna c’è un importante problema democratico che richiede una risposta politica, difficilmente potremo avere una gestione politica della questione da parte dello Stato. Malgrado tutto noi riteniamo che essendoci determinazione popolare e volontà di negoziare, prima o poi dovremo sederci a un tavolo”.

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