di GILBERTO ONETO
Da sempre il più odioso simbolo del centralismo statale e dell’italianità più appiccicosa è individuato nell’istituto delle Prefetture, delle “Eccellenze” impomatate che – da Napoleone in poi – fungono da viceré, da satrapi, da proconsoli, da longa manus del potere centrale nelle province occupate. Prefetti e Prefetture e il loro mediterraneo corollario di Viceprefetti, auto blu, timbri, unghie del mignolo a paletta, scorte, bandiere e squilli di tromba, sono da sempre al vertice delle idiosincrasie di liberali e autonomisti. A questi sentimenti aveva saputo dare sapiente voce Luigi Einaudi che – però – da presidente della Repubblica non si era poi sbattuto più di tanto per modificare l’ambaradan. Anche peggio hanno fatto certi finti autonomisti degli ultimi decenni: uno ne ha addirittura fatto il capo per anni, un altro ha custodito per un po’ i “sigilli” dell’intero macchinario.
Ma c’è un’altra istituzione che merita u
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