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Dopo 150 anni tornano gli indipendentisti in toscana

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RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO Potrebbe passare inosservata, ma questa tornata di amministrative in Toscana contiene una sensazionale novità. Infatti, per la prima volta il nostro movimento denominato "Toscana Stato per l'Indipendenza della Toscana", nato nel 2014, si presenta ad una tornata elettorale amministrativa, a Grosseto. Anche se potrebbe risultare insignificante ai più la presentazione di una lista (che magari a prima vista potrebbe sembrare una delle tante) in una realtà di neanche 100.000 abitanti, è doveroso far notare che per la prima volta si presentano organizzati gli indipendentisti toscani. E questo dopo ben 150 anni. Infatti nel 1866 si concluse l'esperienza del movimento antiunitario toscano (capeggiato dal Granduca Ferdinando IV) e da allora la Toscana, pur avendo tutti i titoli per chiedere l'indipendenza, non ha mai avuto una forza organizzata indipendentista, pur piccola. Gli altri movimenti pseudo-identitari che esistono, o che sono esistiti, i
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2 COMMENTS

  1. Oh! Toscana mia Toscana!
    Così dolce, così bella,
    Terra d’arte, di sapienza,
    Di soavissima favella…

    LA TOSCANA NON È ITALIA ! ! !

  2. Massimo D’Azeglio per Firenze Capitale ( quando si doveva decidere in quale città si sarebbe dovuto portare la Capitale dopo averla tolta da Torino)

    È inutile intanto estendersi su quest’argomento. Mi sia tuttavia permesso d’aggiungere, che a parer mio come sede del Governo la città preferibile a tutte la stimo Firenze.
    Firenze fu il centro dell’ultima civiltà italiana del medio evo.
    È, come fu sempre, centro della lingua; e la lingua è fra i principali vincoli che riuniscono e mantengono vive le nazionalità.
    È posta a giusta distanza dalle due estremità della penisola.
    È nè troppo esposta ad un assalto dal mare, nè da esso troppo lontana: ed opere idrauliche sull’Arno ve la potrebbero avvicinare di più.
    È in buon clima, protetta da un assalto dal nord dalle due linee, quella del Po e dell’Appennino, rafforzata ora dai lavori eseguiti a Bologna.
    Facile a fortificarsi, volendo, con forti separati e fuor del tiro dalla sua cerchia.
    È inoltre popolata d’uomini ingegnosi, temperati, civili; la popolazione in Toscana è generalmente onesta, non è faziosa; si viene rapidamente correggendo di que’ difetti che forse ebbe in passato: e quando vi si sia generalizzato l’uso della vita politica, a Firenze il Governo potrebbe trovare quel salubre e sicuro ambiente che dicemmo esser per lui la più importante delle condizioni.
    Ma un’altra ragione si adduce in favore di Roma. Scegliendola a sede del Governo, dicono, tutte l’altre città si inchineranno, nessuna oserà mettersi avanti, e sarà tolto di mezzo questo pomo di discordia.
    Io non credo punto a quest’ossequio generale; ma credo, ed anzi vedo ripetersi un fatto frequentissimo in ogni rivoluzione: il partito di chi più grida e più si dimena, benchè in minorità, riesce sempre per qualche tempo a metter in soggezione quelli che gridano e s’agitano meno. L’importante è di trovare que’ sonori vocaboli che colpiscono le moltitudini, di gridarli per le piazze e pei giornali, è di chiamar Codino chi ne mettesse in dubbio il valore.
    Tutta questa fantasmagoria svanisce presto, come accadde al Milione di Fucili, ed al Milione di Soldati, ma poco importa quando sia ottenuta l’agitazione nel senso che si voleva. Chi n’è professore, sa benissimo che una certa specie di mondo s’agita non colle idee sane, ma colle fantastiche.
    Chi scambiasse il silenzio momentaneo coll’ossequio, potrebbe cadere in gravi errori. L’Italia ha sempre subíta la fatalità d’esser poco studiata, e mi pare che questa fatalità ancora non cessi. Chi la conosce, e conosce in fondo i sentimenti delle popolazioni, sa che fra Napoli e Roma, verbigrazia, v’è ruggine antica e radicale, per cui ho l’idea che in cuor suo ogni Napoletano vorrebbe veder Capitale dello stato San Marino piuttosto che Roma.
    Il problema di tenere Napoli non è indifferente ora, e merita che vi si pensi.
    L’antico Stato papale non è in condizioni diverse. È cosa ancor più notoria la poco felice disposizione di Bologna e d’altre città dello Stato per Roma, e bisogna non aver veduto mai que’ paesi per immaginare che s’inchinino con ossequio all’idea d’averla di nuovo per Capitale.
    I Toscani hanno ingegno sottile, sono penetrativi assai, e le bolle di sapone sanno distinguerle a colpo d’occhio. Quanto all’Italia superiore, è troppo del mondo moderno per avere una gran venerazione ai fantasmi dell’antichità; e se togliamo quell’intimo motore piantato in cuore della maggior parte degl’Italiani, il gusto di far dispetto ai preti, credo che l’idea della sede del Governo posta a Roma paia poco desiderabile a chiunque conosce nella loro verità gli elementi de’ quali è composta.
    Se il Papa non abbandonerà Roma, e se vi rimarrà anche soltanto come pontefice, confesso non giungere a comprendere come si potrebbe tenervi egualmente radunati i tre poteri dello Stato. Non sarebb’egli fra i possibili che mentre al Campidoglio o al Quirinale si pubblicasse una legge votata dal Parlamento e sancita colla firma della Corona, al Vaticano si vedesse una scomunica affissa alle porte della Basilica di San Pietro? E tutto ciò non potrebbe forse condurre ad una serie di scandali indecorosi, che nuocerebbero egualmente alla dignità regia, come alla dignità sacerdotale?
    Ma dopo tutto il già detto, si presenta una nuova riflessione abbastanza grave.
    A Roma, per ora, c’è il Papa! —

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