di PIETRO DI MUCCIO DE QUATTRO
L’imposta di successione ha sempre diviso anche i paladini della proprietà privata. Grandi capitalisti vi sono favorevoli, anche a costo di diseredare in tutto o in parte i figli.
I meno abbienti la ritengono indispensabile per ridurre la distanza se non proprio parificare i punti di partenza tra ricchi e poveri. In genere è la cosiddetta giustizia sociale non più dell’invidia ad approvare il prelievo sugli averi di un defunto.
Ma sono in tanti ad avversarla perché sempre di una tassa sul morto si tratta. E’ vero che, storicamente, gli Stati hanno tassato di tutto, senza fermarsi davanti a nulla. Defunti compresi, appunto.
Però, che sia moralmente discutibile non c’è dubbio. Il “contribuente” non ha voce in capitolo. Gli eredi pagano senza demerito. L’erario incamera sol perché un poveretto ha esalato l’ultimo respiro.
Se la tassa di successione è un’opinabile tassa sul morto, la tassa di cremazione è un’odiosa