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Autodeterminazione: due strade complementari

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di GIOVANNI BIRINDELLI Il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, ha dichiarato che il suo governo impedirà lo svolgimento del referendum sull’indipendenza della Catalogna in quanto tale referendum sarebbe «illegale». Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha dato, naturalmente, il suo sostegno alle parole di Rajoy. Ricordo che la legalità è il rispetto della “legge” fiat, cioè dei comandi arbitrari di un’autorità; mentre la legittimità è il rispetto della Legge, cioè di quei princìpi generali che esistono indipendentemente dal volere di un’autorità e di qualunque maggioranza. In altre parole, per chi vuole difendere la Legge, ciò che è rilevante è la legittimità, non la legalità. Nei regimi totalitari (p. es. negli attuali stati nazionali dell’Europa continentale), se una cosa è illegale c’è un’ottima probabilità che sia legittima: basti pensare all’evasione fiscale o all’uso di una moneta diversa da quella che lo stato impone con la violenz
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7 COMMENTS

  1. Ho la sensazione che Giovanni quando critica la democrazia totalitaria tenda a far riferimento a quella rappresentativa, la quale è in ambito elettorale partitico e non è inerente il referendum di autodeterminazione.
    A mio avviso paragonare il referendum di autodeterminazione ad un esercizio di democrazia totalitaria è metodologicamente un errore, in quanto il diritto di voto per secedere ed autodeterminarsi è l’unica votazione che comporta implicitamente come suo meccanismo il disinnesco dell’imposizione coercitiva di una maggioranza nei confronti di una minoranza su di un territorio (e dunque sui residenti proprietari), in ragione del suo essere secessionista.
    Un referendum di autodeterminazione sarebbe totalitario se come propone Rajoy tutta la Spagna (e non solo la Catalogna) volesse esprimere un giudizio inerente il diritto di uno specifico territorio a secedere, il che sarebbe in sé una contraddizione logica rispetto al principio di autodeterminazione così come sancito a livello internazionale oltreché dai libertari.

    • Sul secondo punto, Luca, sono d’accordo con te. Non però sul primo. Come ho argomentato in diversi altre occasioni (p. es. qui: http://www.movimentolibertario.com/2013/12/democrazia-e-legge-sono-incompatibili/), io non faccio differenza fra “democrazia” rappresentativa e “democrazia” diretta, ma fra “democrazia” totalitaria (rappresentativa o diretta è irrilevante) e democrazia. Per “democrazia” totalitaria intendo un sistema in cui una maggioranza può rubare a una minoranza le sue risorse (p. es. attraverso un referendum sul salario massimo dei managers). Per democrazia intendo un sistema in cui questo non è possibile. In altre parole, la “democrazia” totalitaria è, per come la intendo io, un sistema politico basato sulla “legge” fiat mentre la democrazia è un sistema politico basato sull’inverso della “legge” fiat, e cioè sulla Legge: la regola generale e negativa di comportamento individuale valida per tutti allo stesso modo (il principio). In entrambi i sistemi c’è il voto a maggioranza. Tuttavia, mentre nel primo c’è la REGOLA della maggioranza (cioè non c’è limite non arbitrario a ciò che può essere deciso da una maggioranza e quindi questa può decidere di violare ogni principio), nel secondo il voto a maggioranza non può riguardare la Legge (la quale è INDIPENDENTE dalla volontà di chiunque, e soprattutto della maggioranza) ma SOLO l’organizzazione della sua difesa (p. es., eventualmente e a certe condizioni, il numero di giudici da assumere in un tribunale).

      • Giovanni concordo con te sulla definizione della questione canonica della democrazia, ma a mio parere un referendum d’autodeterminazione non si qualifica come una forma di rappresentanza diretta o indiretta tale da costituire una imposizione di una volontà della maggioranza nei confronti di una minoranza.
        Il concetto di autodeterminazione implicito in tal quesito referendario (il quale lo rende differente anche dagli altri quesiti tipici dei referendum a democrazia diretta) lo rende sostanzialmente immune dalla logica di una imposizione coercitiva, in quanto una minoranza C può sempre appellarsi alle urne per secedere a sua volta dalla maggioranza B che reputa potenzialmente oppressiva, per il medesimo principio per cui la maggioranza B aveva precedentemente secesso da una maggioranza oppressiva A.

        • Luca, dal mio punto di vista il tuo ragionamento ha un problema. A priori, e in generale, un principio in quanto tale esclude la decisione a maggioranza, e questo sarebbe di per sé sufficiente a dirimere la questione. Ma in questo caso c’è anche un aspetto logico più specifico.

          La possibilità dei referendum a catena di cui parli tu presuppone infatti necessariamente che il primo referendum dia luogo a un nuovo soggetto nazionale che a sua volta permetta la secessione, e così di seguito. Questo porterebbe logicamente, per stadi successivi, alla secessione individuale: più precisamente, la possibilità di referendum a catena (e quindi l’assenza di coercizione del 20%) implica già in sé esplicitamente il diritto alla secessione individuale. Tuttavia, questo diritto non è altro che la sovranità del principio di autodeterminazione e quindi della Legge intesa come principio, in cui il problema del 20% non si pone. In altre parole, quella a cui nell’articolo mio sono riferito come “prima strada”.

          Questa tuttavia è una situazione completamente diversa da quella del referendum catalano, per esempio. Infatti questo si riferisce all’indipendenza di un’AREA GEOGRAFICA in cui vivono persone che la pensano in modo diverso: si ha quindi il problema del 20% e la coercizione (“seconda strada”).

          Nel momento in cui tu garantisci che “una minoranza C può sempre appellarsi alle urne per secedere a sua volta dalla maggioranza B”, essendo la minoranza più elementare l’individuo, attraverso i referendum a catena tu stai garantendo NON l’indipendenza di un’area geografica ma, in ultima istanza, quella di OGNI INDIVIDUO, quindi sei nella “prima strada”, NON nella “seconda”. E il referendum catalano, così come quello scozzese ad esempio, si riferisce alla “seconda strada”.

          Detto questo, come dicevo nell’articolo, le due strade sono complementari: nessuna delle due, da sola, porta all’obiettivo (la prima per ostacoli culturali insormontabili, che la seconda riesce a superare; la seconda per impossibilità logica; che la prima supera). Insieme possono raggiungerlo.

          • Giovanni io non vedo in cosa consista la differenza sostanziale tra la prima e la seconda strada.
            Il referendum catalano e scozzese si basano ovviamente su interpretazioni normative basate sul principio di autodeterminazione, secondo il diritto internazionale, benché interpretate in chiave statale.
            A mio avviso la questione della maggioranza è però un dato in sé relativo che sul piano del processo politico catalano e scozzese volenti o nolenti deve essere contestualizzato ai soli abitanti del territorio secessionista e non all’intero Stato da cui si vuole secedere.
            Nel referendum d’autodeterminazione (e ovviamente sia sul caso catalano che scozzese) poggiando su un iter in sé politico e imperfetto
            comporterà che vi saranno ovviamente dei contrari alla secessione.
            Ad ogni modo, se il ragionamento è sulla sovranità del principio di autodeterminazione e quindi della Legge intesa come principio e sulla questione dell’indipendenza di un’area geografica in cui vivono persone che la pensano diversamente, laddove si svolga un referendum è in sé implicito che si accetti il principio di secessione e dunque è preventivato che esso possa poi essere adottato anche per una secessione a catena dal nuovo territorio sovrano.
            Non è vero che nel momento in cui riconosco la possibilità di una secessione a catena io non stia garantendo l’indipendenza ma solo quella individuale.
            Di fatto l’indipendenza si basa in primo luogo sull’indipendenza degli individui residenti (altrimenti si rischia di commettere un errore sacralizzando di fatto il futuro Stato come monopolio territoriale aldilà di chi vi abita in quel territorio).
            Se la libertà individuale viene garantita né consegue che vi sia anche una indipendenza territoriale (non è detto il suo contrario, specie se si considera la secessione come un mero processo statico di riproduzione neostatuale finalizzata a sacralizzare i nuovi confini) rispondente alla volontà dei suoi abitanti residenti.
            A maggior ragione, se l’individuo residente e proprietario è libero, egli è anche libero di associarsi e dunque di coordinarsi sul territorio con altri individui al fine di costituire una comunità volontaria.

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