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Contro i canoni: la letteratura italiana secondo Paolo Luca Bernardini

Da leggere

di LUIGI CORTINOVIS

Disponibile nelle librerie dai primi di luglio, l’ultimo libro di Paolo Luca Bernardini, “Le lettere e gli spiriti. Itinerari eccentrici nella letteratura italiana” (Milano, Aesthetica edizioni, pp. 240) è un “tour de force“ nella letteratura italiana dal Rinascimento a oggi. Ma con un’idea precisa: sovvertire se non il “canone” o i vari canoni (poco differenti tra di loro), l’idea stessa di “canone”.

I canoni sono costruzioni artificiali, da parte di intellettuali di regime i quali, prezzolati o meno, si prestano all’operazione, spesso squallida e mal condotta, di selezionare i “sommersi” e i “salvati”, ma in particolar modo questi ultimi, perché vengano insegnati nelle scuole. Ai sommersi, ai “minori”, cade in sorte l’eterno oblio. Dunque, deve trattarsi di scrittori, per usare le parole di Gramsci – il grande teorico dell’egemonia culturale poi effettivamente realizzata dagli anni Cinquanta in poi da parte della sinistra italiana, con notevole successo – “organici” o anche “integrati”, al soldo di scuole, case editrici, giornali.

La letteratura italiana per fortuna è così grandiosa da potersene bellamente infischiare dei canoni. Demolire un canone non vuol dire cercare di introdurne uno nuovo. Vuol dire solo invitare a leggere autori “liberi”: liberi dai canoni, qualcosa che non dipende da loro, ma anche, nello spirito, e nello stile, liberi di per sé stessi (anche se non necessariamente liberali, anche perché la letteratura italiana non ha mai avuto la sua Ayn Rand, ad essere sinceri). A leggere in libertà, spinti dal gusto, dalla curiosità, dal caso, e magari con l’aiuto di una buona dose di “serendipity”.

Leggere dunque questi 31 saggi ci porta a riconsiderare la nozione stessa di letteratura, innanzi tutto come libera da una lingua: “italiani” scrivono nelle lingue locali, il veneto soprattutto, in ebraico magari, o in latino. Lottano contro censure di ogni tipo, da quella ecclesiastica a quella moderna, editoriale; lottano contro i critici al soldo dei ministeri della cultura, dell’istruzione, dell’università, combattono per far ascoltare la propria voce. E soprattutto stabiliscono una continuità mirabile: la letteratura italiana esiste da ben prima che esistesse l’Italia unificata, e esisterà anche quando magari l’Italia si rigenererà in federazione, confederazione, o in tanti piccoli (ma alcuni neanche tanto, la Lombardia ha più abitanti della Svizzera e tanti quanti l’Austria), stati ora in competizione ora in alleanza tra di loro.

La letteratura italiana è molto molto di più dell’Italia come stato (per fortuna): c’era prima, ci sarà dopo, e i tentativi di imbrigliarla in canoni che determinino come destino, teleologicamente, l’unificazione (e magari poi l’entrata nella UE!) politica, ebbene, sono ridicoli. Ma ovviamente sono stati fatti, per omologare le menti nelle scuole – la vera violenza, altro che il bullismo – per lavare il cervello a generazioni di accademici (posto che avessero qualcosa in testa da lavare, oltre ai capelli); per impedire ad infinite voci di essere ascoltate: a beneficio di altre, rese addirittura obbligatorie.

In questo libro ci si muove raminghi e liberi tra tante voci, scrittori italiani che scrivevano in francese come Casanova, traduttori, autori magari di un’opera sola, dettata dalle tragedie della storia.

La letteratura è palestra di libertà, se lo si vuole. Questo vale per gli autori e per i lettori. Per le lettere e per gli spiriti. La letteratura italiana è forse la maggiore al mondo: nel momento in cui viene posta al servizio della retorica patriottarda, dei buoni sentimenti, del politicamente corretto, diviene corriva. Perde lo smalto. Esistono senz’altro ancora penne libere, né nere né rosse, che guardano attraverso la letteratura a mondi liberi a venire, e che per ciò stesso aborrono i canoni, e sono aborriti da loro. I canoni sono come i cannoni. Spesso, peggio.

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