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Il buon giornalismo disorienta perché sfugge alle etichette partitiche

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di PIETRO AGRIESTI

Per il mainstream liberal progressista tutto ciò che è troppo lontano dal centro è estrema destra. Qualsiasi tipo di populismo, di antipolitica, di critica generale al sistema, allo stato, alla politica, etc… è estrema destra. Per questo, ad esempio, giornalisti come Greenwald e Taibbi, o podcaster come Joe Rogan, vengono etichettati come di estrema destra. Si tratta palesemente di una etichetta senza senso. Di una definizione del tutto delirante. Ma questa gente fa quello che può con quello che ha a disposizione. Hanno solo quattro o cinque etichette in testa e usano quelle.

Per cui più o meno esistono l’estrema sinistra, la sinistra, il centro sinistra, il centro destra, la destra e l’estrema destra. Joe Rogan invitava a votare Sanders e poi ha detto che De Sanctis potrebbe essere un buon presidente quindi nella loro testa era di sinistra e ora è di estrema destra. Greenwald prima scriveva sul Guardian e poi su The Intercept, che sono di sinistra, oggi lo si vede spesso su Fox news, spesso intervistato da Tucker, e quindi è passato a destra. Taibbi lavorava a Rolling Stones e ha scritto libri sulla bolla del 2009 molto apprezzati a sinistra perché critici verso la finanza e il neoliberismo, poi ora è diventato “il pr di Elon Musk”, facendo il salto della quaglia. E così via.

In realtà nessuna di queste persone è cambiata nel modo radicale e repentino che questi spaesati commentatori sostengono. Nel merito sono rimasti gli stessi, dicono e fanno esattamente le stesse cose. Greenwald attaccava gli apparati di sicurezza americani e i loro abusi e la guerra al terrore, sotto Bush, e ha continuato a fare esattamente lo stesso sotto tutti gli altri. La sua non è mai stata una affiliazione a questo o quel partito o schieramento quanto una precisa idea di giornalismo improntato alla difesa dei diritti civili e dei diritti costituzionali degli americani primo fra tutti il Primo emendamento e alla denuncia degli abusi compiuti dal potere rispetto a questi. Da questo punto di vista è rimasto assolutamente identico per chi ha continuato a seguirlo.

Quindi quando viene descritto un suo cambiamento radicale a 180° gradi da un capo dello spettro politico all’altro, semplicemente si delira. Ma quando gli si applica l’etichetta di estrema destra si sta raggiungendo proprio l’apice del delirio. Non sarà una definizione super precisa ma quando uno dice estrema destra in genere pensa a neonazisti e neofascisti, quindi a autoritarismo, totalitarismo, irreggimentazione della società, soppressione della libertà di espressione e controllo totale dell’informazione, corporativismo e dirigismo, ultra protezionismo e ultra nazionalismo, suprematismo, militarismo spinto, etc… nulla di nulla di nulla di tutto ciò è sostenuto da Greenwald, ne da Taibbi, ne da Rogan, ne da Tulsi Gabbard, ne da quasi nessun altro di chi viene etichettato come di estrema destra.

Anzi all’opposto, se c’è un tema unificante tutti questi personaggi – e Caitlin Johnstone, Michael Tracey, etc… – è in primis la difesa della libertà d’espressione, e poi la denuncia degli abusi degli apparati di sicurezza americani, l’opposizione alle guerre continue e a quello che in USA chiamano il complesso militare industriale.

Il fatto che persone che si battono per i diritti costituzionali civili e politici degli americani possano essere descritti come neonazi, con una grottesca e letterale reductio ad hitlerum, rende bene l’idea dello stato mentale di questi commentatori. All’origine di questo delirio c’è l’incapacità di accettare l’esistenza di una critica che non sia rivolta dalla sinistra alla destra e viceversa, ma che sia verso il sistema in quanto tale. Verso gli apparati di sicurezza americani che evidentemente non cambiano magicamente modo di funzionare quando cambia il colore del governo. Verso l’establishment. Verso quella che in Italia chiameremmo la partitocrazia.

Sia Sanders che Trump, qualsiasi altra cosa si possa dire di loro, erano candidati anti establishment, che promettevano un cambiamento, che prendevano di mira non solo il partito avversario ma anche l’establishment del proprio partito, entrambi al di là dei termini usati di preciso promettevano di drenare la palude o di combattere il Deep State. Questo tema unificante incontrava i sentimenti e le idee di tanti che prima che essere fidelizzati elettori di un partito sono critici del potere costituito, del sistema vigente, del mainstream politico mediatico. Per questo tanti americani simpatizzavano per Sanders e per Trump. Per questo diverse milioni di persone votarono Obama quando si presentò come un outsider venuto a cambiare come funzionava Washington (deludendo poi penosamente da questo punto di vista). Per questo la Revolution di Ron Paul aveva un appeal almeno in parte bipartisan. Hanno votato contro quello. Perché pensano che quello sia il problema. A discapito dell’appartenenza partitica. E prima di altre questioni. E non sono di estrema destra. Anche se domani potrebbero votare De Santis.

Personaggi come Greenwald non sono compiutamente pro Sanders o pro Trump o pro Ron Paul o pro nessuno, ma hanno seguito e destano interesse in entrambi gli elettorati, così come tra i libertari, anche se non sono libertari, perché hanno questa coerenza che trascende i partiti e riguarda il contenuto e perché restando coerenti, nonostante ogni attacco subito per quanto assurdo, dimostrano coraggio, determinazione, onestà intellettuale. Allo stesso tempo disorientano perché sfuggono alle etichette partitiche. E quando non sa o ha un dubbio il liberal progressista, si sa, risolve dandoti del nazista, come ha fatto di recente il Post, che in un articolo ha definito appunto Joe Rogan di estrema destra.

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