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Il decreto aprile arriva a maggio: 500 pagine per il rilancio del debito

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di MATTEO CORSINI

E così, dopo un lungo tira e molla tra le varie forze della maggioranza, il decreto Aprile, poi slittato a maggio e ribattezzato “Rilancio”, ha visto la luce nella serata del 13 maggio. Soddisfatto il presidente del Consiglio e i suoi colleghi ministri, per una manovra nominale da 155 miliardi, di cui 55 di nuovo deficit.

Secondo Giuseppe Conte, il decreto “contiene anche le premesse per una prospettiva di ripresa, economica e sociale”. A dargli man forte il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, secondo il quale si gettano “le basi per la ripartenza dell’economia.”

Come sempre in questi casi, la realtà (attuale e prospettica) di discosta dalla narrazione. Si pensi, per esempio, al passaggio in cui Conte ha commentato il taglio della rata di giugno dell’Irap, sostenendo che “significa erogare una forma indiretta di liquidità, significa lasciare nelle casse delle società delle somme di danaro”.

Vera la seconda parte, ammesso che per pagare le tasse un’azienda non ricorra al debito in mancanza di cassa. Certamente, però, la prima parte presuppone che lo Stato sia il proprietario di quei soldi, quindi invece di prelevarli con una mano per restituirli con l’altra, evita di prelevarli. Questo conferma che, per chi ha il potere di tassare, la proprietà privata è il complemento a uno di ciò che lo Stato ritiene essere suo. In sostanza, la proprietà privata è una “concessione”, al pari, ormai, della libertà di circolazione.

E’ poi intervenuto il fautore dell’ingresso dello Stato nelle società private, Stefano Patuanelli, che ha cercato di fornire un segnale rassicurante in merito alla delicatezza dell’intervento di CDP. Secondo il ministro dell Sviluppo economico, non ci sarà “nessuna sovietizzazione delle imprese”. Ognuno è libero di crederci.

Oltre 250 articoli, quasi 500 pagine. Tanta roba. Eppure nulla in confronto al conto che, prima o poi, i pagatori di tasse dovranno pagare.

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3 COMMENTS

  1. Tanto per farci due risate vi riporto cose dice il manuale dell’Università di Padova
    “NORMA”: MANUALE PER LA REDAZIONE DEI TESTI NORMATIVI
    Articolo 1
    (Requisiti del linguaggio normativo)
    1. Le disposizioni giuridiche debbono essere univoche, precise e complete.
    2. Le disposizioni giuridiche debbono essere altresì concise, semplici e stilisticamente
    eleganti, ma non a discapito dell’univocità, della precisione e della completezza.
    3. Le disposizioni giuridiche debbono essere facilmente comprensibili. La
    comprensibilità deve essere garantita rispetto alla cerchia dei destinatari di ciascuna
    disposizione giuridica. Deve essere possibile cogliere con immediatezza il contenuto
    fondamentale di ciascuna disposizione.

    Dal che si intuisce che:
    1) i nostri burocrati e legislatori non hanno studiato
    2) se hanno studiato non lo hanno fatto in una Università del Nord
    3) nell’Università dove hanno studiato all’articolo 1 si parla di criptismo e bizantinismo come forma “normale” nel regidigere le norme, le quali devono essere comprensibili solo ad una ristretta cerchia di addetti ai lavori -(magnagreci ovviamente)

  2. Ma vi rendete conto della stupidità assoluta, direi criminale, di quei burocrati statali Romani, che per scrivere il decreto aprile hanno utilizzato 500 pagine, I PROMESSI SPOSI, in versione stupidità assoluta, scritta dagli sgherri dei governanti, che servirà a fare confusione e a generare sanzioni alle persone che lavorano onestamente. BASTA!

  3. Ma vi rendete conto della stupidità assoluta, direi criminale, di quei burocrati statali Romani, che per scrivere il decreto aprile hanno utilizzato 500 pagine, I PROMESSI SPOSI, in versione stupidità assoluta, scritta dagli sgherri dei governanti, che servirà a fare confusione e a generare sanzioni alle persone che lavorano onestamente. BASTA!

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