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Il settore delle auto elettriche: fascismo, comunismo e modello cinese

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di PIETRO AGRIESTI

Non c’è nulla che somigli al libero mercato nel settore delle auto elettriche, è tutto un unico enorme ammasso crescente di sussidi, incentivi, tariffe, tasse e sconti sulle tasse, interventi sui prezzi, etc…

È stata l’occasione per introdurre ogni sorta di politica protezionista, anti concorrenziale e statalista, per tornare verso un’economia pianificata e diretta dallo stato, se c’è una deriva fascista, è in questo ritorno a un tipo di economia pianificata e di dirigismo che piaceva tanto a tanti, tra cui a Mussolini e Stalin, ma un po’ a tutta Europa, negli Anni Trenta, di fatto andando a leggere quanto scrivevano economisti, politici, intellettuali e uomini di Stato in quegli anni troveremmo per molti versi discorsi che mutatis mutandis somigliano, nel descrivere il ruolo che lo stato deve avere e il rapporto tra stato e proprietà privata, a quelli proposti dalla leadership europea (ad es. da Von Der Leyen e Thierry Breton), a quelli proposti dal World Economic Forum, e in parte dalla leadership USA.

È diventato relativamente comune sentire parlare di “modello cinese” e leggerne elogi o critiche, ma la cosa più simile al modello cinese conosciuta da noi è stata il fascismo, e di fatti il modello cinese è una sorta di regime socialista, come fu il fascismo, il problema è che, come accadde durante il confronto con il fascismo e il comunismo, molti si concentrano sul battere “la Cina” e non sul rifiutare il “modello cinese”, anzi insistono che per battere la Cina bisogna adottare in qualche modo il suo modello. Il che in realtà non è per niente vero, ma se anche lo fosse, dovendo scegliere tra perdere sul piano economico e adottare il “modello cinese” sarebbe comunque preferibile la prima opzione alla seconda.

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