di LEONARDO FACCO
Massimo Fini è una penna raffinata e nonostante mi dividano da lui le idee che ha sposato da almeno un ventennio, leggerlo continua ad essere un enorme piacere.
"Confesso che ho vissuto", che fa il verso al libro di memorie del comunista Pablo Neruda, è la trilogia finale di quel percorso anti-modernista di un giornalista di razza, che proprio per questa ragione è rimasto ai margini del regime dell'informazione che conta.
Dizionario erotico, Ragazzo e Una vita sono i tre lavori più personalistici di Fini, quelli in cui da fondo ai suoi ricordi più intimi, agli aneddoti più scabrosi, alle riflessioni più scorrette. Nietzschiano impenitente, Fini è cosciente di aver anticipato i tempi nel raccontare l'Italia peggiore: "E essere troppo in anticipo è uno svantaggio - afferma - Longanesi diceva a Montanelli e Giovanni Ansaldo: voi mi fregherete sempre perché capite le cose cinque giorni prima che accadano e io cinque anni prima. Nietzsche, saliamo nel