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Indipendentisti e libertari, manca la convinzione per ribellarsi

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ribellionedi ALESSANDRO MORANDINI

Pochi giorni fa è stato pubblicato un articolo molto interessante di Claudio Bertolazzi per Miglioverde.eu. E non solo interessante, anche utile, giusto, polemico e quindi stimolante. Una spietata riflessione sull’inefficienza  del mondo libertario e, aggiungo io, del mondo indipendentista.

Perché se i propositi dei libertari e degli indipendentisti  sono, rispettivamente, la riduzione dell’ingerenza dello stato italiano sulla vita delle persone e la liberazione di un territorio e di un popolo da quella medesima occupazione, allora bisognerà ammettere che, come scrive l’autore dell’articolo, l’attività dei libertari sembra riposi sull’accomodante convinzione che in fondo noi abbiamo ragione e questo è tutto ciò che conta; e l’insistente partecipazione dei piccoli partiti indipendentisti alle elezioni italiane si concluda, puntualmente, nell’insuccesso. In altre parole indipendentisti e libertari non sembrano costituire  un problema per uno stato, quello italiano, sempre più opprimente; e per una classe, quella dei parassiti, sempre più protetta.

Sul Miglioverde.eu il sottoscritto ed altri più autorevoli di me, uno su tutti Trentin, hanno analizzato e discusso varie iniziative. Per quanto mi riguarda l’ho fatto, per esempio, all’indomani della consultazione on line di Plebiscito.eu, quando il tema era ancora caldo ed in tanti pensavano che fossimo di fronte ad una svolta. Pur riconoscendo il valore dell’iniziativa e senza infilarmi in inutili discussioni sulla certificazione del risultato, invitai alla cautela e soprattutto alla verifica della sostanza, della forza delle motivazioni che il movimento di Busato avrebbe espresso in iniziative successive, che pensavo sarebbero puntualmente arrivate. Sono arrivate ed hanno dimostrato quanto immaginavo: che il problema non era il numero delle persone che hanno aderito al plebiscito (sicuramente rispecchiante la diffusione del desiderio di indipendenza in Veneto), ma il numero dei militanti e la motivazione dei capi, che insieme costituivano la debolezza di quel movimento.

Voglio ricordare che due anni fa circa, quando si dava la Lega Nord per morta, riconobbi un potenziale incrementale che di lì a poco, se alcune condizioni si fossero verificate, avrebbe potuto portare il consenso per il partito fondato da Umberto Bossi a percentuali mai viste. In realtà immaginavo che tale consenso sarebbe stato maggiore, ma non potevo prevedere la svolta italianista impressa al partito dal segretario Matteo Salvini: speravo in una svolta contraria. Ripeto quanto scrivevo due anni fa: se la Lega Nord recuperasse l’obiettivo indipendentista e, contemporaneamente, se il mondo autenticamente indipendentista si manifestasse in un movimento di ribellione popolare estraneo a propositi elettorali ed all’attività leghista, se e solo se entrambe le condizioni fossero realizzate ci troveremmo, abbastanza improvvisamente, molto vicini a traguardi che oggi possiamo solo vagheggiare.  Aggiungo che la prima condizione dipende dal concretizzarsi della seconda.

Ovviamente non si tratta di vantare insistenti virtù previsionali. Si tratta di recuperare un metodo di analisi che consente non già di prevedere ma di indicare, per sommi capi, opportunità ed ostacoli.

Prima che si concludessero le elezioni regionali avevo spiegato per quale motivo i partiti indipendentisti ed i loro capi, sulla cui buona fede non discuto perché si è già detto della forma mentis di alcuni di loro (che non lascia ben sperare per l’indipendenza del Veneto), non avrebbero ottenuto risultati utili. E spiegavo che i risultati ottenuti da loro e da altre organizzazioni politiche sarebbero stati oggetto di sopravvalutazione da parte degli interessati, sempre mossi perlopiù da buona fede e scarsa disposizione ad una lettura analitica dei fatti sociali.

La lucidità dell’articolo di Claudio Bertolazzi e qualche sacrosanto commento, come quello del pilastro friulano Giorgio Fidenato, mi hanno sinceramente colpito. Però devo ammettere che anche la critica, l’esortazione, l’invito ad una lotta più incisiva contro lo stato italiano non aggiungono nulla alle opportunità che il mondo indipendentista e libertario offre. Perché appunto non di motivazioni si tratta, non di inidoneità dei popoli padani alla ribellione e, penso, neanche solamente di leader incompetenti. Non si tratta del carattere dei popoli come talvolta si legge; si tratta, invece, di opportunità. Più precisamente scarseggiano le opportunità di vera, determinata, ferrigna lotta contro lo stato, azioni collettive immediatamente efficaci che richiamano la partecipazione dei migliori indipendentisti; e invece si accumulano le iniziative che offrono opportunità o miraggi di carriera a schiere di nuovi parassiti, schifano i migliori indipendentisti, attraggono i peggiori e soddisfano i desideri di telespettatori e moderati.

Nelle prossime settimane cercherò di spiegare, partendo fatti di cronaca, l’importanza delle opportunità nella lotta libertaria ed indipendentista. Si tratta di minimi esempi di ribellione contro lo stato italiano che non hanno visto come protagonisti i movimenti libertari o indipendentisti e che, proprio per questa debolezza organizzativa ed ideale, non si sono mai estesi oltre la dimensione locale o addirittura personale, ottenendo però, in qualche occasione, parziali, concreti ed immediati successi.

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1 COMMENT

  1. E’ un’errore perseguire l’indipendentismo attraverso le identità locali, i tempi sono cambiati, devrommo pensare ad un’autodeterminazione “libera tutti” con confini e comunità variabili.

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