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In italia un liberale sincero non può non ribellarsi

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schiavi ribellidi CLAUDIO BERTOLAZZI

Nel Belpaese tanti, e forse troppi, si dichiarano sempre più di frequente “liberali” o “libertari”tout-court (un giorno spero che qualcuno mi spieghi la differenza…). Certo, abbiamo letto i maestri del liberalismo e ne abbiamo assorbito almeno i passi più importanti; magari sappiamo cos’è la scuola austriaca (ma quale liberale oserebbe affermare di non conoscerne almeno le basi…), sappiamo chi sono Von Hayek e Friedman e abbiamo menzione delle fascinose utopie urbane di Nozick e del pragmatismo scientifico di Moroni; aborriamo (of course!) Keynes e parteggiamo apertamente, ci mancherebbe, per il libero mercato e per il libero scambio; magari conosciamo anche e le regole egualitarie del “Rule of law” e del tanto celebrato (ma mai realizzato) Stato di diritto. Sosteniamo senza esitazioni l’ approccio etico della prospettiva libertaria sulla natura giusnaturalista dei diritti inalienabili di ogni individuo , e non tralasciamo di denunciare con vibrata indignazione l’invadenza dello Stato in ogni campo, che vorremmo, pressoché unanimemente , ridurre alle funzioni più minimali possibili, preferibilmente con sole funzioni di coordinamento delle libere attività private.

Ma, ciò premesso, possiamo veramente dirci “liberali” ? Un primo accenno di autoanalisi mi ha lasciato sinceramente un pò spiazzato. Cosa mai significa essere “liberali”? E’ sufficiente conoscerne il pensiero fin nei suoi aspetti più sottili e saper rispondere di fioretto alle ficcanti argomentazioni (abbastanza rare, per la verità) di un avversario ben preparato? Non credo, o almeno non credo sia sufficiente. Mi sono chiesto quale potrebbe essere una prima definizione non troppo approssimativa di chi voglia proclamarsi liberale, concludendo che non ve ne sono, se non quella di poter proclamare di fronte a sé e a chiunque altro di essere “libero”, cioè di non accettare mai e per nessun motivo di essere resi da chicchessia e per nessuna ragione nella condizione di “sudditi” o, come dice Facco, di “schiavi”.

Dato che la definizione è del tutto ovvia, mi spiego meglio: in fondo al cuore – ma anche senza scendere troppo – ciascuno di noi è perfettamente al corrente che oggi questa è la condizione in cui siamo costretti, ma sappiamo anche che a questa condizione che nega di fatto la nostra stessa identità non reagiamo come dovremmo, o non reagiamo affatto. Se fossimo veramente “liberi” come potremmo consentire senza ribellarci ad una qualsivoglia Autorità di limitare la nostra sicurezza, la libertà di opinione, di stampa, di espressione, di “habeas corpus” (cioè di non essere arrestati senza motivo…) o il diritto di intraprendere un’attività non nociva? E potremmo consentire che chicchessia, fatti salvi i diritti di terzi, ci possa imporre da un giorno all’altro che non possiamo più vivere dove desideriamo ma “per il benessere della società”, possiamo abitare SOLO in zone nebbiose e prive di servizi (Vedi PRG di Bologna 1975), o che fossimo costretti a versare il 72% del nostro reddito a qualcun’altro (lo Stato, per esempio), “perchè possa provvedere al nostro benessere”, o pur potendo liberamente pretendere di NON essere mantenuti – e quindi gestiti -dallo Stato, non lo rivendicassimo?

In realtà accettiamo queste aggressioni (progressive) delle nostre libertà fondamentali come eventi normali, senza ribellarci come ci imporrebbe la coscienza CON TUTTI I MEZZI, leciti o meno, visto che ne va della nostra vita. Saranno i condizionamenti di tanti anni di totalitarismi o di oligarchie, durante i quali nessuno ci ha insegnato il senso della libertà, sarà che riconosciamo più o meno coscientemente ai “saggi” di turno di ribellionesaperne più di noi su quello che realmente ci serve, ma liberali o no, finiamo con l’accettare tutto, certo di malumore, ma solo con – moderate – proteste o con colte – ma moderate – discussioni sulle liberali ragioni per cui mai e poi mai dovremmo accettare queste violenze. Ciò detto (con la dovuta moderazione, s’intende) si torna a casa, ma non più sollevati.

A questo punto ci si potrebbe porre un quesito: se per riconoscerci uomini “liberi” occorresse violare leggi comunemente riconosciute come illiberali , avremmo il coraggio di farlo o resteremmo attanagliati dalle mille paure che, coscientemente, ci hanno instillato quotidianamente fino a renderci succubi mitridatizzati?

Fateci caso. I media propagandano con grande enfasi la confisca di migliaia di miliardi ai mafiosi, agli speculatori, (quelli edilizi, gli altri contano poco…) e agli evasori parassiti e a chi non dichiari che la sua attività non sia “no-profit”, ma in realtà è un falso. A parte il caso limite di Berlusconi chi finisce nel mirino del fisco viene portato per pochi giorni ai massimi onori della cronaca, per poi essere totalmente dimenticato al momento del giudizio. Così i miliardi “confiscati” con tanto clamore dopo congrue trattative tra “Delinquenti” e “Stato” (scusate le virgolette, a volte fatico a distinguere…) si riducono a pochi soldi, che a volte vengono restituiti ai “Delinquenti” con tante scuse. Dunque la paura di 250.000 leggi circa (tante sono le leggi delo Stato che ci opprimono; se ci aggiungiamo anche quelle di Regioni, Provincie e Comuni, le circolari  ed i regolamenti, scritti o orali, di tutti gli altri Enti pubblici, superiamo tranquillamente le 5/600.000) pare creata ad arte, con il solo scopo di intimidire la gente e mostrare la forza, in realtà solo virtuale salvo rari – ma tremendi – casi, dei tanti Potentati pubblici.

Il nostro passivo adeguamento a tante disposizioni di legge evidentemente inique non deriva quindi dalla convinzione che queste siano veramente utili alla società (e come potrebbe…), ma da una autocensura praticata con tenacia, o da paura o , diciamolo, codardia , ben sapendo che la libertà non è gratuita e che va riconquistata ogni giorno.

Mi scuso per la lunghezza e concludo: sono fermamente convinto che la difesa delle libertà individuali, naturali per ognuno di noi, almeno come descritte nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” del ’48, dovrebbe prevalere su qualsiasi altra considerazione: se oggi in Italia qualcuno vuole dichiararsi “liberale” deve anche dichiararsi “libero” e tentare di liberarsi con tutti i mezzi di cui dispone. L’una cosa senza l’altra non può esistere.

 

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1 COMMENT

  1. Ogni tanto nascono parole nuove che fanno capo ad una specifica era, in questo momento ci troviamo in pieno regime di libertà, almeno é quello che molti credono mentre il ribelle é quello che porta in testa i segni delle manganellate.
    Quelle belle parole di speranza per un reale cambiamento, sono rimaste tali attraverso i tempi e non trovano nella storia una comprensione allargata ad un numero considerevole di cittadini per imporre alla classe di Potere un reale combiamento.
    Il Paese Italia é ricco di storia in modo da adottare un sistema Politico fondato sull’etica, sulla fratellanza e su un bilanciamento delle risorse Paese, ma non é così. Qui si scornano giornalmente per rubare nel piatto del proprio fratello e la Religione Cattolica non é stata di buon esempio nel corso dei duemila anni.
    Mettiamo da parte tutte le filosofie e tentiamo di procedere con i Piedi perterra e il cervello attaccato alla testa. Gli esempi di Mala Politica, Mala Giustizia e Mala Sanità ci seguono giornalmente e non v’é la volontà di migliorarci neanche dinnanzi all’acclamato fallimento Economico che é il termometro delle reali capacità del Paese,
    Aspettiamo il Big Bang che ci metterà tutti in ginocchio molto peggio della Grecia, poichè il nostro debito pubblico é di dieci volte superiore, considerando anche i debiti dell’Industria, delle Famiglie e dei Comuni.
    Ogni tentativo di costruire un ponte fra l’Autorità e i cittadini viene negato, perché toglierebbe agli interessati la possibilità di occupare le poltrone immeritate e grattare sul rimanente nel fondo del pentolone finanziario..
    Mi fermo qui per non incorrere in accuse per lesa Maestà a pidocchi umani che occupano le poltrone di comando-
    Anthony Ceresa.

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