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La presunzione fatale degli economisti alla corte del re

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STAMPA-MONETAdi MATTEO CORSINI

“Ma ci sono alcuni grossi problemi se si alzano i tassi di interesse per contenere la crescita dei prezzi delle attività finanziarie. In primo luogo, non è chiaro quando i prezzi sono troppo alti o troppo bassi… In secondo luogo, i tassi di interesse non influenzano solo i prezzi delle attività finanziarie, ma anche i prezzi di beni e servizi… Se si inizia a muovere i tassi di interesse per combattere le bolle o per rinvigorire i prezzi delle attività finanziarie dopo una discesa, si impongono costi pesanti all’economia, perché si causano fluttuazioni sia all’economia reale, sia all’inflazione”. Occupandosi delle difficoltà che hanno coloro che gestiscono la politica monetaria e la regolamentazione finanziaria nel contenere la formazione di bolle, Noah Smith mette in evidenza i limiti della politica monetaria e delle politiche definite macroprudenziali (che sono altrettanto arbitrarie e, probabilmente, ancor più dannose).

Peccato, però, che non si renda conto che quanto lui applica ai prezzi delle attività finanziarie può essere applicato ai prezzi in generale. Quindi non ha senso che si manipolino i tassi di interesse per favorire la crescita o contenere l’eccessiva crescita dei prezzi di qualsivoglia bene o servizio.

Semplicemente, la moneta non dovrebbe essere un monopolio statale concesso in gestione a una banca centrale, né dovrebbe avere alcun corso legale. Si lasci stabilire a chi scambia beni e servizi quale mezzo di scambio utilizzare, evitando di mettere imposizioni o divieti.

Le controindicazioni della politica monetaria e di tutte le altre forme di interventismo sparirebbero. Proprio per questo nessun economista col sogno più o meno esplicito di fare il consigliere del principe proporrà mai la fine dell’interventismo. Cercherà di mettere in luce i limiti degli interventi attuali allo scopo di individuarne di altri (dei quali assumere la paternità) che diano risultati migliori. Con la presunzione di riuscirci.

Una presunzione che, hayekianamente, si potrebbe definire fatale.

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