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Le vite sprecate degli intellettuali italiani

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di PIETRO AGRIESTI

Ognuno ha i suoi gusti, ma personalmente il fenomeno umano più rivoltante trovo sia quello degli intellettuali di regime, coloro che pur essendo equipaggiati con gli strumenti per fare, ad esempio, analisi della comunicazione e dell’informazione, si rifiutano ideologicamente di farla.

Sono quelli che hanno spaccato il capello in quattro su ogni parola detta da Berlusconi, e hanno visto un complotto fascio mafioso piduista in ogni provvedimento del centrodestra, ma oggi accusano chiunque critichi Draghi di complottismo.

Sono quelli che collegavano direttamente le parole di Salvini o altri del centrodestra a qualsiasi episodio o frase razzisti o omofobi comparissero nel paese, ma oggi non collegano la comunicazione venuta da governo, media e istituzuoni alla violenza verbale e al bullismo contro i novax, i no gp, o i semplici critici del supremo che si riscontrano nel paese.

Sono quelli che facevano le battaglie per spiegare che le parole sono pietre e che un pronome sbagliato può essere un’aggressione pari a uno stupro, e che chi non concordava mancava di empatia, o che una presa in giro o un insulto dovevano portare le persone alla bancarotta se non in galera, ma oggi non vedono niente che non va nelle parole violente, nel bullismo, nel linguaggio d’odio, nelle sparate “razziste” e “suprematiste” di tanti esponenti politici e mediatici.

Sono quelli che trovavano che tutto fosse un attentato alla costituzione, ma oggi puoi usarla per pulirti il culo, come diceva l’Umberto, e chissenefrega, è giusto così, c’è l’emergenza fanculo la costituzione.

Sono quelli che monitoravano ogni think thank del pianeta per trovare pezze d’appoggio per dire che l’Italia non aveva una libera stampa a causa del conflitto di interessi di Silvio, ma oggi non hanno nulla da dire sulla nostra stampa e i nostri media durante due anni di propaganda e censura mentre il governo gode dei poteri straordinari dello stato d’emergenza.

Sono quelli che ci insegnano come la pubblicità ci manipola, o come i cattivi capitalisti dediti solo al profitto ci fanno il lavaggio del cervello, ma poi mancano di evidenziare le forzature, le manipolazioni, le omissioni, il sensazionalismo, il moralismo, l’incoerenza, l’uso allegro dei numeri, e insomma tutti i meccanismi di manipolazione e propaganda della attuale comunicazione mainstream.

Sono quelli che siccome applicando i loro stessi criteri di analisi, usati in precedenza in varie occasioni, viene fuori un quadro spaventoso che dovrebbe portarli a lanciare un grido d’allarme, proprio per questo si rifiutano di usarli. Perché non hanno il coraggio di guardare la realtà in faccia e dire la verità ad alta voce.

Sono quelli che si vantavano di avere letto Foucault, Marcuse, Debord, Chomsky, Herman, Bernays, Klein, e poi quando aveva un senso ricordare di averli letti, ops non gli son più venuti in mente, il vuoto pneumatico.

Sono quelli che hanno trovato il tempo di scrivere tomi, lettere, appeli, articoli, inchieste, volumi di filosofia, e chissa cos’altro contro i no vax e i no green pass, in genere per concludere che sono tutti dei cloni terrapiattisti di Adolf Hitler, ma non hanno avuto un minuto per girarsi a guardare cosa faceva il governo e cosa passava sui media di regime.

Erano quelli che si riempivano la bocca di empatia, solidarietà, altruismo, bene comune, attenzione alle minoranze, democrazia, etc… con una sensibilità che a volte rasentava la parodia, arrivando a stracciarsi le vesti per questioni di lana caprina e facendo continuamente questioni di principio, e… Dove sono andati ora ‘sti principi? Nel cesso, direi. Speriamo che prima o poi ci finiscano anche loro e si possa tirare lo sciacquone.

Intanto si sono fatti superare da due bocconiani, Piero Stanig e Gianmarco Daniele, che rilevano che i piani pandemici preparati nei primi decenni di questo secolo erano molto diversi da quelli poi attuati, non prevedevano lockdown nemmeno per pandemie molto più gravi, e prevedevano invece di spiegare chiaramente il rischio ai cittadini, di spiegare i meccanismi di propagazione del virus, di dare delle linee guida realistiche e di lasciare molto più spazio alla autoregolazione, mentre dall’analisi delle strategie dei governi occidentali risulta che questi si sono mossi in direzione opposta.

E concludono in modo sacrosanto facendo notare che è spaventosa l’idea che, di colpo, sembri che tutto sia vietato, a meno che non sia esplicitamente consentito; che dovere dei cittadini sia quello di informarsi, in un contesto in costante mutamento, riguardo a che cosa sia consentito in un determinato giorno; e che pratiche odiose come l’irruzione in casa da parte delle forze di sicurezza siano sdoganate, anche dal pubblico, come ragionevole reazione a un’epidemia.

Che è il minimo che qualsiasi persona con un cervello nella testa e il senso della decenza dovrebbe dire. Un minimo evidentemente però comunque troppo in alto per gli intellettualoni italiani, i quali viene irresistibilmente da pensare abbiano evidentemente sprecato la loro intera esistenza nonché tutti i soldi che i contribuenti hanno loro dato sotto forma di stipendi, finanziamenti alle università, ai giornali, agli editori, bonus cultura, leggi anti amazon, mantenimento della Rai, e chi più ne ha più ne metta.

Stanig e Daniele infine si spingono a suggerire persino che – ohibò – l’enfasi sul rispetto formale di regole a volte complicatissime – oltre che, com abbiamo visto, la mal compresa ingiunzione a stare in casa – possa aver avuto effetti negativi in termini di progressione del contagio. Perché come per tutte le decisioni politiche, anche per quelle sul Covid, contano credibilità e chiarezza. E con così poco – le stesse cose per dire che leggevo a 15 anni ne “La legge oscura” di Ainis, che mica si era inventato niente di strano e di nuovo manco lui – hanno superato in carica sovversiva buona parte dei super intellettuali de sinistra in lotta contro il sistema, di sta cippa.

DAL LIBRO DEI DUE AUTORI DI CUI SOPRA:

  • «Questo non è un libro sulla pandemia. Non siamo né biologi né epidemiologi: il nostro campo di competenza ha a che fare con la valutazione della qualità del processo decisionale e con l’efficienza e l’efficacia delle soluzioni adottate dalla politica, non con i dettagli delle politiche di salute pubblica. Questo è un libro sui lockdown – quelli del marzo e aprile 2020 e quelli vagamente edulcorati delle zone colorate – e sul loro contorno di misure restrittive. È un libro che analizza scelte politiche, campagne mediatiche, opinione pubblica, tensioni tra democrazia e tecnocrazia, e fragilità dei diritti individuali sotto il peso di un’emergenza. Perché il lockdown è un’invenzione del 2020, introdotta un po’ per sbaglio e sull’onda del panico dal governo italiano, quindi emulata in altri paesi occidentali. I piani pandemici preparati nei primi due decenni di questo secolo non prevedevano infatti nulla di simile, nemmeno per pandemie molto più gravi, e in generale avevano un approccio molto diverso, attento ai costi e ai benefici di ciascuna misura e sempre preoccupato di preservare quanto più possibile la vita normale della società»

GLI AUTORI

PIERO STANIG è Assistant Professor di Scienza Politica presso l’Università Bocconi di Milano. Il suo programma di ricerca copre la politica comparata, l’economia politica comparata, e la metodologia quantitativa. Il suo lavoro appare nel Journal of Public Economics, Electoral Studies, e l’American Journal of Political Science. Ha ottenuto il suo Ph.D. in Scienza Politica alla Columbia University. Prima della Bocconi, ha insegnato metodologia, scienza politica, e economia politica alla London School of Economics per tre anni e alla Hertie School of Governance per altri tre. È stato anche borsista allo Alexander Hamilton Center for Political Economy alla New York University, dove ha insegnato corsi sulla corruzione politica e burocratica ed è un membro del comitato consultivo dello Ibrahim Index of African Governance.

GIANMARCO DANIELE è Ricercatore RTDB presso l’Università Statale di Milano e membro della Crime Law and Economics Analysis Research Unit presso l’Università Bocconi. Si occupa di temi riguardanti la selezione e le performance della classe politica, la criminalità organizzata e altri aspetti di economia pubblica. Suoi lavori sono apparsi in Economic Journal, Review of Economics and Statistics e Journal of Public Economics.”

  • «Una delle raccomandazioni ai governi che era contenuta nei piani pandemici pre-2020, come abbiamo visto, era di spiegare chiaramente il rischio ai cittadini, di modo che questi potessero poi autoregolarsi. In questo caso un esempio virtuoso in termini di comunicazione politica è quello del Giappone. Dall’inizio della pandemia le autorità hanno adottato uno slogan molto semplice, basato, per davvero, sull’evidenza scientifica. In inglese, lo chiamano slogan delle tre C, cioè evitare «closed spaces, crowded places, and close contact« (spazi chiusi, luoghi affollati, contatto ravvicinato). Avere in mente una semplice frase è molto più facile che cercare di seguire decine di norme che cambiano ogni settimana. Dopo l’inizio della pandemia è stata la sociologa Zeynep Tufekci a notare, in vari interventi per la stampa in inglese, che la strategia adottata dai governi occidentali andava decisamente in direzione opposta e che questo ha peggiorato l’evoluzione dei contagi. Per esempio, sull’Atlantic spiega che «saremmo messi molto meglio se avessimo dato alla gente delle indicazioni realistiche riguardo ai meccanismi di trasmissione del virus. Le nostre linee guida pubblica avrebbero dovuto essere più simili a quelle giapponesi…».
  • «Per concludere, troviamo spaventosa l’idea che, di colpo, sembri che tutto sia vietato, a meno che non sia esplicitamente consentito; che dovere dei cittadini sia quello di informarsi, in un contesto in costante mutamento, riguardo a che cosa sia consentito in un determinato giorno; e che pratiche odiose come l’irruzione in casa da parte delle forze di sicurezza siano sdoganate, anche dal pubblico, come ragionevole reazione a un’epidemia. Ma vogliamo anche suggerire che l’enfasi sul rispetto formale di regole a volte complicatissime – oltre che, come abbiamo visto, la mal compresa ingiunzione a stare in casa – possa aver avuto anche effetti negativi in termini di progressione del contagio. Come per tutte le decisioni politiche, anche per quelle sul Covid, contano credibilità e chiarezza. Quanti «nuovo decreto Covid» abbiamo avuto in un anno? Quante volte nel giro di pochi giorni abbiamo ricevuto messaggi contraddittori su nuove norme, nuovi regolamenti ecc.? Com’è possibile che ieri fosse sicuro fare x e oggi non lo è più? Le regole sono a volte talmente impenetrabili che finanche gli autori stessi faticano a navigarle, come alcune sconfessioni incrociate tra ministeri dimostrano. Non si tratta di qualcosa di nuovo: la confusione e l’approssimazione nelle decisioni politiche ci accompagnano, senza dubbio, da millenni. Nel caso del coronavirus, la confusione è però particolarmente pericolosa perché disorienta i cittadini rispetto a leggi che interferiscono profondamente con la loro vita quotidiana. Delle linee guida chiare avrebbero anche permesso a ciascuno di noi di adottare precauzioni in maniera volontaria: per citare il documento dell’OMS del 2019 di cui abbiamo parlato nel primo capitolo, si dovevano aiutare i cittadini a «individuare una serie di azioni fattibili, di modo che si chiedano “come possiamo prevenire in modo efficace l’infezione e proteggere noi stessi, le nostre famiglie, e la nostra collettività?”».

P.s. Grazie a Pietro De Luigi che mi ha fatto conoscere il libro di Stanig e Daniele (che sto leggendo in ebook), e da cui ho preso le citazioni sopra.

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1 COMMENT

  1. Mi permetto di aggiungere un’ulteriore considerazione sugli intellettuali. Erano tutti in prima linea nella difesa della legalità. Ora che l’ultimo decreto è in palese violazione della Legge 1/2018, tacciono. Quella legge fu firmata dall’attuale inquilino del Quirinale. Apporrà la sua firma anche sulla sua violazione?

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