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RILETTURE / Progresso e libertà: l’eterna lotta tra il burocrate e il produttore

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SOCIALISMO ILLUSTRATOdi GUGLIELMO PIOMBINI

1) Prima dello Stato

Per un tempo lunghissimo l’umanità primitiva ha vissuto in piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori senza organizzazione statale. Dopo aver esaurito tutte le risorse naturali di una certa area, i clan si spostavano altrove. Questo sistema di vita nomade ha potuto funzionare fino a quando l’umanità era scarsa di numero e disponeva di immensi territori disabitati per le battute di caccia, ma alla lunga non era sostenibile. L’intensificazione della caccia grossa provocò una crisi ecologica in Europa, nel Medio Oriente e in America, dove si estinsero 32 specie di grandi animali.

La scomparsa della megafauna avviò quindi, intorno al 10.000 a.C., il passaggio a un modo di produzione basato sull’agricoltura. La rivoluzione neolitica fu una risposta all’esaurimento delle risorse verificatosi in seguito all’intensificazione dello sfruttamento del sistema di sussistenza basato sulla caccia e sulla raccolta. Anche se la vita dei contadini era più dura di quella dei cacciatori, perché richiedeva lunghe ore di lavoro sfiancante nei campi, la vita sedentaria di villaggio permise di sfamare un numero di bocche molto superiore. Grazie all’appropriazione e alla coltivazione della terra la popolazione umana aumentò considerevolmente di numero, e sorsero le prime civiltà [1].

2) L’origine violenta dello Stato

L’agricoltura insegna agli uomini usanze pacifiche, li abitua a una vita abitudinaria fatta di lunghe fatiche giornaliere. I cacciatori e i pastori invece sono abituati al pericolo e sono abili nell’uccidere. La guerra per loro è una variante della caccia, e quando i boschi cessano di dar loro abbondante selvaggina, o le greggi si riducono per il diradarsi dei pascoli, guardano con invidia i fertili campi del villaggio vicino. Inventano quindi con disinvoltura una ragione plausibile per attaccare, invadono, conquistano, rendono schiavi e dominano [2].

COREA_DEL_NORD_-_agricoltoriI primi Stati nascono quando le tribù nomadi si accorgono che lo sfruttamento sistematico dei villaggi agricoli attraverso la tassazione costituisce un sistema molto più efficace e lucroso del vecchio sistema del saccheggio e dello sterminio. Tutte le ricerche storiche e antropologiche confermano che lo Stato è nato in questo modo: «Una razza di conquistatori e di padroni, che con tutta la sua organizzazione militare e tutto il suo potere di coercizione piomba con terribili artigli su una popolazione con ogni probabilità superiore di numero, ma ancora informe … tale è l’origine dello Stato» (Nietzsche) [3]; «Lo Stato distinto dall’organizzazione tribale ha inizio con la conquista di una razza da parte di un’altra» (Ward) [4]; «La violenza è l’agente che ha creato lo Stato» (Ratzenhofer) [5]; «Lo Stato è il prodotto della forza, e si mantiene con la forza» (Sumner e Keller) [6]; «Lo Stato è il risultato della conquista, lo stabilirsi dei vincitori come casta dominante sui vinti» (Gumplowicz) [7]; «Dovunque troviamo una tribù guerriera che invade il territorio di un popolo meno guerriero; essa vi stabilisce come nobiltà, e fonda il proprio Stato» (Oppenheimer) [8].

Il concetto di Stato viene qui usato in senso sociologico, non politico. La scienza della politica intende per Stato un tipo molto specifico di organizzazione politica sorto in Europa alla fine del Medioevo: lo Stato Moderno [9]. Invece, secondo la più generica concezione usata in sociologia, si ha uno Stato quando la società è divisa in due classi: una maggioranza produttiva che vive di mezzi economici (lavoro e scambio) e un’élite governante che vive di mezzi politici (tassazione e confisca delle risorse prodotte con i mezzi economici). L’ordine statuale e la divisione in classi sociali, spiega il sociologo Franz Oppenheimer, nascono simultaneamente in quell’istante di importanza unica nella storia del mondo in cui, per la prima volta, il vincitore risparmia il vinto con il fine di sfruttarlo in modo permanente [10].

3) Comincia lo scontro tra Produttori e Burocrati

In quel momento, scrive l’antropologo Marvin Harris, i produttori precipitano in una drammatica condizione di servitù dalla quale non si sono più liberati: «Per la prima volta apparvero sulla terra re, dittatori, alti sacerdoti, imperatori, presidenti, governatori, sindaci, generali, ammiragli, capi di polizia, giudici, avvocati e carcerieri, insieme a celle, prigioni, penitenziari e campi di concentramento. Sotto la tutela dello Stato gli uomini impararono, per la prima volta, come piegare il capo, umiliarsi, genuflettersi e inchinarsi. La nascita dello Stato rappresentò, sotto molti aspetti, la caduta dal mondo della libertà a quello della schiavitù» [11].

Gli uomini hanno dovuto imparare a difendersi non solo dal micro-parassitismo degli insetti o dei batteri, ma soprattutto dal macro-parassitismo degli altri uomini [12]. Con la nascita dello Stato è sorto infatti un scontro di classe tra Produttori e Burocrati che dura, con alterne vicende, fino ai giorni nostri. I primi vogliono lavorare, produrre, scambiare; i secondi governare, amministrare, tassare. I primi desiderano tenersi per sé i frutti delle proprie fatiche, i secondi ambiscono a impossessarsene con la forza e a instaurare un sistema di dominio e sfruttamento. L’eterno conflitto storico è dunque tra gli Uomini della Libertà e gli Uomini dell’Amministrazione, tra il potere sociale e il potere statale. I ritmi di progresso o di decadenza della civiltà sono determinati dall’andamento di questa lotta.

4) Società di Burocrati

a) Imperi antichi

Fin dagli albori della storia la maggior parte delle persone ha condotto una vita miserabile in imperi tirannici (babilonese, assiro, egizio, cinese, persiano, indiano, tardo-romano, arabo, ottomano, incas, azteco) che si estendevano su aree immense. In questi antichi imperi il progresso fu così lento da passare quasi inosservato. Le ragioni di questa stagnazione sono evidenti: il potere non aveva alcuna necessità di innovazioni, che anzi combatteva nel timore che potessero perturbare il sistema; le élite burocratiche e militari dominanti si impossessavano di qualsiasi surplus di produzione, e ogni accenno di resistenza veniva brutalmente represso; ogni forza sociale autonoma veniva stroncata sul nascere, e nulla sfuggiva al controllo del despota, che era padrone assoluto di tutti i beni del regno e di tutti i suoi abitanti; la popolazione era sottoposta non solo a una tassazione da confisca, ma al lavoro forzato per la costruzione di immense opere pubbliche, come canali, muraglie, piramidi, palazzi.

Gli antichi imperi erano agglomerati di contadini analfabeti che faticavano dalla mattina alla sera solo per procurarsi cibi vegetali privi di proteine. Non stavano molto meglio dei loro buoi, ed erano completamente soggetti ai comandi di superiori che sapevano scrivere e i quali soltanto avevano il diritto di fabbricare e usare strumenti di guerra e di coercizione. Il fatto che società che fornivano ricompense così magre durassero migliaia d’anni suona come un severo monito: non vi è alcuna forza intrinseca all’attività umana che assicuri il progresso materiale e morale [13].

b) Un caso esemplare: l’impero cinese

cinesiIl millenario impero cinese fu un tipico caso di società chiusa completamente dominata da una casta di intellettuali e burocrati. Come ha spiegato il massimo storico della Cina antica, Etienne Balasz, lo Stato confuciano era decisamente totalitario: non era ammessa nessuna iniziativa privata, e nessuna espressione della vita pubblica poteva sfuggire alla regolamentazione ufficiale: l’abbigliamento, l’edilizia pubblica e privata, la musica, le feste, persino i colori che era permesso indossare, tutto era soggetto al rigido controllo statale. C’erano prescrizioni per la nascita e per la morte; lo Stato sorvegliava attentamente ogni passo dei suoi sudditi, dalla culla alla tomba. Era un regime di cartacce a perdita d’occhio e di fastidi a non finire.

La Cina dei Mandarini era un ambiente di routine, di tradizionalismo e di immobilismo, sospettoso di ogni innovazione e iniziativa, sfavorevole allo spirito di libera ricerca. L’ingegnoso spirito d’inventiva dei cinesi avrebbe senza dubbio arricchito la Cina e probabilmente l’avrebbe condotta alle soglie dell’industria moderna, se non ci fosse stato il controllo soffocante dello Stato. È lo Stato che ha impedito in Cina il progresso tecnico, schiacciando nella culla qualunque iniziativa privata che sembrasse in contrasto con i suoi interessi [14].

Non sorprende che nella storia cinese i progressi economici e tecnologici si siano avuti in coincidenza con le fasi di debolezza del potere centrale, come nel periodo dei Regni Combattenti (453-221 a.C.), probabilmente il più ricco e brillante della storia cinese, o il periodo dei Tre Regni (220-280 d.C.). Anche dopo il 907 d.c., quando crollò la dinastia Tang e cominciarono le lotte senza sosta per la supremazia nel cosiddetto periodo delle cinque dinastie e dei dieci regni, il paese sperimentò un’eclatante esplosione di invenzioni e prosperità [15].

c) Un caso moderno: l’Unione Sovietica

Nella nostra epoca i regimi comunisti hanno riportato in auge, in forma più sanguinaria, il controllo totalitario degli antichi dispotismi orientali. L’ideologia marxista, con la sua radicale ostilità alla proprietà, al commercio e all’impresa, si è rivelata la più adatta a soddisfare la volontà di dominio delle classi parassitarie. Ovunque i ceti politico-burocratici hanno mirato a distruggere i ceti produttivi, hanno adottato l’ideologia marxista.

L’estremo grado di sfruttamento delle burocrazie comuniste ai danni delle classi produttive, che nel caso dei contadini kulaki raggiunse la forma dello sterminio fisico, venne denunciato da Lev Trotzkij, Ante Ciliga, Milovan Gilas, Mihail Voslensky [10]. L’analisi più penetrante dello sfruttamento burocratico sotto il comunismo venne però da un geniale studioso autodidatta italiano, Bruno Rizzi, il quale fu il primo a comprendere che in Urss aveva preso il potere una classe burocratica parassitaria, composta da “funzionari, poliziotti, ufficiali, scrittori, mandarini sindacali e tutto il partito comunista in blocco”, che depredava le classi lavoratrici nella maniera più feroce mai vista.

Lo Stato sovietico, notava Rizzi, si era gonfiato in modo spaventoso. I burocrati con le loro famiglie formavano una massa di 15 milioni di persone che si erano appiccicate al tronco statale e ne succhiavano la linfa, arraffando una fetta enorme della produzione nazionale. Nelle aziende agricole statali, i kolchoz, solo il 37 per cento della produzione restava in mano ai lavoratori, mentre il rimanente andava allo Stato che lo girava alla burocrazia. I funzionari facevano inoltre enormi affari a danno dei ceti produttivi fissando i salari e i prezzi dei prodotti, che subivano maggiorazioni enormi sui prezzi di vendita. La burocrazia trattava gli operai come suoi “clienti obbligati”, e li costringeva ad acquistare nei negozi statali i prodotti con un ricarico anche del 120 per cento.

I funzionari statali inoltre ottenevano notevoli vantaggi destinando i capitali accantonati per le opere “pubbliche” in progetti utili soprattutto alla loro classe, come la faraonica Casa dei Soviet alta 360 metri, sede della burocrazia, mentre agli operai era riservata una media di cinque metri quadrati d’abitazione. Avendo tutte le leve economiche nelle mani, salvaguardate da uno Stato poliziesco espressamente eretto, la burocrazia era onnipotente e ogni sua azione era finalizzata al mantenimento del predominio politico e dei privilegi economici raggiunti [17].

5) Società di produttori

a) I fenici e i greci

GRECIAIntorno al 1200 a.C. gli imperi dell’età del bronzo (egizio, minoico, miceneo, ittita, assiro) erano sprofondati in una stagnazione causata dal progressivo soffocamento delle iniziative produttive e mercantili. La crisi dei poteri centralizzati diede libertà d’azione ad alcuni popoli commerciali del Medio Oriente, provenienti soprattutto dall’attuale Libano, che con le loro navi cominciarono a solcare i mari trasportando ogni genere di prodotti. Per la prima volta si realizzò un sistema “catallattico” di scambi commerciali e divisione del lavoro nel bacino del Mediterraneo, dove i mercati e i porti crebbero fino a diventare città. Il commercio divenne il volano dell’innovazione: i filistei inventarono il ferro; i cananei l’alfabeto; i fenici migliorarono notevolmente le imbarcazioni, la scienza della navigazione, le scritture contabili.

In tutta onestà, scrive Matt Ridley, è mai esistito un popolo più ammirevole dei fenici? Quegli antichi mercanti collegarono insieme non solo l’intero Mediterraneo, ma anche le coste accessibili dell’Atlantico, il Mar Rosso e le vie carovaniere dell’Asia; eppure non ebbero mai un imperatore e non parteciparono mai a nessuna battaglia memorabile. Per prosperare, le città fenicie di Tiro, Biblo, Sidone, Cartagine e Gadir non avevano bisogno di unirsi in una singola entità politica, e non andarono mai oltre una blanda federazione: «La diaspora fenicia è uno dei grandi episodi taciuti dalla storia, taciuti perché Tiro e i suoi libri furono distrutti da criminali come Nabucodonosor, Ciro e Alessandro Magno, mentre Cartagine lo fu dagli Scipioni, per cui la loro storia ci è giunta attraverso i frammentari resoconti composti dai loro invidiosi e altezzosi contemporanei» [18].

Anche il “miracolo greco” conferma l’importante lezione formulata per la prima volta da David Hume, secondo cui la frammentazione politica è alleata del progresso economico perché pone un freno al potere. La straordinaria diffusione della prosperità e della cultura greca tra il 600 e il 300 a.C. presenta infatti uno sviluppo simile a quello delle città della Fenicia.

Mileto, Atene e altre centinaia di piccole città indipendenti della Magna Grecia si arricchirono commerciando tra loro senza far parte di un impero. Fu la circolazione di idee legata all’espansione dei commerci che portò alle grandiose scoperte dell’epoca. È sempre il mercante, infatti, che apre la via al filosofo, arricchendo la città e aprendola tramite il commercio estero ad altre idee. Tristemente questo faro di potenzialità umana vene spento dall’ascesa di nuovi imperi: prima quello ateniese, poi quello macedone, infine quello romano.

b) I Comuni medievali

Il crollo dell’impero romano d’Occidente, che nei suoi ultimi secoli aveva assunto tutte le caratteristiche dispotiche degli imperi orientali, rappresentò probabilmente l’evento più fortunato della storia del vecchio continente. Grazie a circostanze che hanno quasi del miracoloso, in Europa non si riformò più un potere politico centralizzato, perché fallirono tutti i tentativi di Carlo Magno e degli imperatori germanici di ricostituire un impero come quello romano. La mancanza di unità consentì un’estesa sperimentazione sociale su piccola scala e scatenò una creativa competizione tra migliaia di unità politiche indipendenti, che produsse un rapido e profondo progresso [19].

La debolezza del potere imperiale favorì le città, che si resero protagoniste di una rivoluzione politica e commerciale. In lotte durate anche centinaia d’anni, gli abitanti delle città si sottrassero al dominio signorile e imperiale, e iniziarono la ricostruzione della società partendo dal basso, governandosi da sé. Gli abitanti dei Comuni si orientarono verso l’economia e non verso la politica perché, a differenza degli abitanti delle città-stato antiche, non avevano a disposizione una massa di schiavi da utilizzare quali strumenti di lavoro, né terre da coltivare, dato che queste erano in gran parte proprietà dei signori; furono quindi obbligati a guadagnarsi da vivere con l’attività manifatturiera e con il commercio.

In questo modo i borghesi medievali estesero l’economia di mercato oltre i ristretti limiti del mondo feudale. Nel Duecento l’Europa era diventata una regione pullulante di gente operosa, agricoltori, imprenditori, artigiani e mercanti che si scambiavano nelle fiere e nei mercati il frutto del loro lavoro: uno spettacolo ben diverso rispetto alle altre aree civilizzate del mondo, dove le masse continuavano ad essere soggiogate da onnipotenti burocrazie imperiali.

c) Tre casi moderni: Olanda, Inghilterra e Stati Uniti

USA1Nel Seicento l’incredibile successo della piccola Olanda e il disastro rovinoso del colosso imperiale spagnolo rappresentarono, agli occhi dei contemporanei, la dimostrazione più evidente della superiorità della società commerciale sulla società burocratica. In Spagna si era affermata tra le élites un’ideologia anti-borghese che guardava con il massimo disprezzo la ricchezza ottenuta con il lavoro. Lo Stato burocratico spagnolo era diretto da uomini completamente estranei al mondo dell’economia che adottarono una politica di asfissia del commercio e dell’industria.

Nelle Province Olandesi, invece, il laissez-faire era una prassi consolidata e pienamente legittimata, ed era la causa del successo che tanta ammirazione, stupore e invidia suscitava in tutta Europa. Nel 1670 gli olandesi dominavano il commercio internazionale al punto che la loro marina mercantile era più grande di quella di Francia, Scozia, Germania, Spagna e Portogallo messi assieme [20]. L’Olanda del Seicento era un laboratorio in cui era possibile osservare e studiare, quasi allo stato puro, la società capitalistico-borghese. Il suo esempio mostrava la via dello sviluppo autopropulsivo, della crescita economica che si autogenerava. Non imitarla equivaleva a condannarsi alla stagnazione [21].

Gli inglesi compresero benissimo che la prosperità degli olandesi era strettamente legata alla totale libertà di cui godevano gli operatori economici, e imitandoli posero le basi della loro supremazia mondiale nei secoli successivi. Nel XIX secolo l’Inghilterra adottò unilateralmente una serie di misure per aprire i propri mercati al commercio internazionale a un livello senza precedenti, che provocarono una riduzione delle tariffe doganali in tutti i paesi del mondo. Finalmente l’umanità vide la nascita di un autentico commercio mondiale libero: un esperimento fenicio su scala planetaria [22]. Tutti i paesi ne beneficiarono. L’economia mondiale crebbe di tre volte, ma nei due paesi più liberali, l’Inghilterra e gli Stati Uniti, la crescita economica sorpassò di gran lunga quella del resto del mondo. Dal 1820 al 1913 il prodotto interno lordo inglese aumentò di sei volte, quello americano di quarantun volte [23].

Decisiva per il successo dell’Inghilterra vittoriana e degli Stati Uniti, secondo Deirdre McCloskey, fu l’affermazione a livello sociale di una mentalità borghese che onorava l’uomo comune fattosi da sé attraverso il lavoro, l’impegno, la fatica, l’ingegno. Niente simboleggia meglio la vittoria culturale dei ceti produttivi della statua in onore di James Watt, l’inventore della macchina a vapore, posta nell’Abbazia di Westminster nel 1825 [24].

6) Per una storiografia libertaria

libertaLe grandi creazioni intellettuali e materiali che hanno elevato la civiltà umana non sono opera di Burocrati, ma di Produttori spesso ignoti, oscuri, sfruttati, bistrattati. I veri protagonisti della civiltà umana non sono gli imperatori, i re, i presidenti, i ministri o i generali che solitamente riempiono le pagine dei libri di storia, ma i contadini, gli artigiani, gli imprenditori o i mercanti che hanno migliorato le arti, le tecniche e i mestieri. I più coraggiosi tra questi produttori hanno difeso la libertà e la civiltà con le armi in pugno, rifiutando di sottomettersi ai poteri del loro tempo.

Il filo conduttore della storia umana è l’incessante conflitto di classe tra i pagatori di tasse e i consumatori di tasse. Gli storici libertari devono quindi raccontare i fatti dal punto di vista degli Uomini della Libertà, non degli Uomini del Potere. La società infatti vive e progredisce grazie al lavoro e alla libertà, non grazie al potere. La civiltà è stata edificata da chi ha resistito al potere, non da chi l’ha esercitato.

NOTE

[1] Marvin Harris, Cannibali e re. Le origini delle culture, Feltrinelli, 1979 (1977).

[2] Will Durant, L’Oriente. Storia della civiltà, Mondadori, 1956, p. 30.

[3] Nietzsche, Genealogia della morale, Mondadori, 1979 (1887), p. 69.

[4] Lester Ward, Evolution of Social Structures, “American Journal of Sociology”, Vol. 10, n. 5, University of Chicago Press, 1905.

[5] Gustav Ratzenhofer, Wesen und Zweck der Politik, Brockhaus, 1893.

[6] W.G. Sumner, A.G. Keller, Science of Society, Yale University Press, 1928, p. 709.

[7] Emil Gumplowicz, Il concetto sociologico dello Stato, Edizioni di Ar, 2007 (1892).

[8] Franz Oppenheimer, The State, Fox & Wilkes, 1997 (1908), p. 9.

[9] Luigi Marco Bassani, Alberto Mingardi, Dalla polis allo Stato, Giappichelli, 2015.

[10] Franz Oppenheimer, The State, p. 15, 32.

[11] Marvin Harris, Cannibali e re, p. 81.

[12] William H. McNeill, Uomini e parassiti. Una storia ecologica, Il saggiatore, 1979.

[13] Marvin Harris, Cannibali e re, p. 171.

[14] Etienne Balasz, La burocrazia celeste, Il Saggiatore, 1971 (1968), p. 9-10.

[15] Jean Baechler, Le origini del capitalismo, IBL Libri, 2015 (1971), p. 119, con prefazione di Luigi Marco Bassani e Alberto Mingardi.

[16] Lev Trotzkij, La rivoluzione tradita, A.C. Editoriale, 2007 (1937); Ante Ciliga, Nel paese della grande menzogna. Urss 1926-1935, Jaca Book, 2007 (1938); Milovan Gilas, La nuova classe, Il Mulino, 1957; Mihail Voslensky, Nomenklatura. La classe dominante in Unione Sovietica, Longanesi, 1980.

[17] Bruno Rizzi, La burocratizzazione del mondo, 2002 (1939), con introduzione di Paolo Sensini.

[18] Matt Ridley, Un ottimista razionale. Come evolve la prosperità, 2013 (2010), p. 183-187.

[19] Rodney Stark, La vittoria dell’Occidente. La negretta storia del trionfo della modernità, Lindau, 2014, p. 111.

[20] Timothy Blanning, L’età della gloria: storia dell’Europa dal 1648 al 1815, Laterza, 2011 (2007).

[21] Luciano Pellicani, Le genesi del capitalismo e le origini della modernità, Rubbettino, 2013 (1988), p. 485.

[22] Matt Ridley, Un ottimista razionale, p. 203.

[23] Angus Maddison, L’economia mondiale. Una prospettiva millenaria, Giuffrè, 2005 (2001).

[24] Deirdre N. McCloskey, Bourgeois Equality: How Ideas, Not Capital or Institutions, Enriched the World, University of Chicago Press, 2016.

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2 COMMENTS

  1. Grazie mille per aver pubblicato nuovamente questo articolo. L’assaggio di storiografia libertaria di Piombini non ha nulla di meno rispetto a “Breve storia dell’uomo” di Hoppe. Anzi, devo dire che per certi versi è anche più convincente.

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