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L’italia non e’ la mia patria

Da leggere

di ENZO TRENTIN

«Vai, dì agli Spartani,
o viandante,
che qui noi giacciamo
obbedienti alle loro
leggi

È epitaffio sul monumento dedicato ai trecento Spartani comandati da Leonida caduti nell’agosto o settembre del 480 a.C. nella battaglia delle Termopili, e vien da chiedersi se oggi l’Italia politico-istituzionale sarebbe in grado di trovare anche un solo emulo di quell’alleanza di poleis greche, guidata dal re di Sparta Leonida I contro l’Impero persiano governato da Serse I.

Le perplessità: Lo Stato italiano agli inizi è liberale, ma va a fare una guerra di conquista al sud. Giacinto De Sivo (1814-1867) è un meridionale federalista che scriverà: «Briganti noi combattenti in casa nostra, difendendo i tetti paterni, e galantuomini voi venuti qui a depredar l’altrui? Il padrone di casa è brigante, e non voi piuttosto venuti a saccheggiare la casa?» Nel 1861 i liberatori  avevano messo al muro 15.665 patrioti borbonici. Poi i morti aumenteranno.

Seguiranno altre avventure coloniali e guerre tra cui l’inutile “grande guerra”. Poi con il ventennio fascista l’Italia si trasforma in una specie di caserma. Crea un popolo guerriero per finire a fare una seconda guerra mondiale che perderà in maniera disdicevole. Infatti, arriva l’8 di settembre 1943 e scoppiano le polemiche. Ci sarebbero tante cose da scrivere in merito, ma ci limitiamo a citare alcune note figure che fino al 7 di settembre stavano dalla parte dei nemici dell’Italia. Il resto sono solo chiacchiere da salotto. Ai lettori trarre le opportune considerazioni:

  1. «…penso che l’armistizio di Badoglio sia stato il più grande tradimento della storia.» (Dalle “Memorie” del Generale Bernard Montgomery)
  2. «la resa dell’Italia fu uno sporco affare. Tutte la nazioni elencano nella loro storia guerre vinte e guerre perse, ma l’Italia è la sola ad aver perduto questa guerra con disonore, salvato solo in parte dal sacrificio dei combattenti della RSI…» (da “Diario di Guerra” di Generale Ike Eisenhower, Comandante supremo delle Forze USA nello scacchiere europeo)
  3. «Certamente non mi garba l’idea che questi ex nemici mutino opinione quando sanno che stanno per essere battuti e passino dalla nostra parte per ottenere d’essere aiutati a mantenere il potere politico» (Harry Hopkins, consigliere del presidente F. D. Roosevelt)
  4. «il fatto è che il Governo italiano decise di capitolare non perché si vide incapace di offrire ulteriore resistenza ma perché era venuto, come in passato, il momento di saltare dalla parte del vincitore…» (da “Le armate alleate in Italia” del Generale Harold Alexander)
  5. «l’Italia fu fedele al suo carattere di sciacallo internazionale, sempre in cerca di compenso per i suoi tradimenti…» (da “Storia della diplomazia” di Vladimir Petrovič Potemkin, ambasciatore sovietico a Roma).

Caduto il fascismo arrivò la guerra fredda e l’egemonia della Democrazia Cristiana, che trasformerà il paese in una sorta di sacrestia. Come conseguenza la maggioranza degli italiani diverrà assai tiepida nei confronti del cattolicesimo.

Al clericalismo succederanno le sinistre social-comuniste che non soddisferanno nemmeno i loro seguaci. Scaturì il terrorismo rosso-nero: BR, NAR e altra varia umanità. Una tragedia!

Si giunse così all’era berlusconiana che esalterà la libertà dei costumi spacciata per liberismo. Essa trasformerà il paese in una sorta di casa di tolleranza, per sfociare nell’ostentazione del libertinaggio e nell’enfasi del terzo sesso.

Ai giorni nostri, poi, riscontriamo la mistificazione dell’immigrazione clandestina incontrollata, gabellata da “rifugio politico”; in realtà una illegittima e devastante emigrazione economica.

L’Italia è splendida, ma unificata politicamente, e per il modo in cui ciò è avvenuto, è divenuta una cosa miserrima. Il vicentino Goffredo Parise – poco prima di morire – nel suo buen retiro della “Casa delle Fate” in una Golena del Piave a Salgareda (TV) scriverà: «Il Veneto è la mia Patria. Sebbene esista una Repubblica Italiana, questa espressione astratta non è la mia Patria. Noi veneti abbiamo girato il mondo, ma la nostra Patria, quella per cui, se ci fosse da combattere, combatteremmo, è soltanto il Veneto. Quando vedo scritto all’imbocco dei ponti sul Piave fiume sacro alla Patria, mi commuovo, ma non perché penso all’Italia, bensì perché penso al Veneto.»

Da più di quarant’anni in Veneto si “agitano” anime autonomiste, federaliste, ai giorni nostri tutte con l’aspirazione all’indipendenza.

Gli autonomisti danno l’impressione d’essere anime perse che persistono a scontrarsi con il muro di gomma statalista. Hanno ottenuto una consultazione referendaria regionale svolta il 22 ottobre 2017.

  • Il Corpo elettorale è composto da 4.019.628.
  • L’affluenza è di: 2.328.947, cioè il 57,2%.
  • I sono stati il 98,1%, ovvero 2.273.985 voti.
  • I No 1,9%, cioè solo 43.938.

Ma i governi succedutisi al referendum non si sono scomposti. In fondo si trattava di un farlocco referendum consultivo; quindi un “parere”, espresso il quale i governanti argomenteranno come

il Dottor Olezzo, il Dottor Diaforetico, e il Dottor Purgone (“Le Malade imaginaire” del drammaturgo francese Molière). Quando verrà l’autonomia si sa già che non risulterà adeguata alle aspettative. Malgrado ciò, alle elezioni regionali del 20-21 settembre 2020 saranno presenti più liste autonomiste.

Tra gli autonomisti e pseudo federalisti ci sono politici di lungo corso, come quelli che nel 1998 seguirono l’«avventura» di Fabrizio Comencini che ruppe con Umberto Bossi in nome del nazionalismo veneziano contrapposto al nazionalismo padano. Sebbene comandasse la maggioranza dei consiglieri regionali della Liga Veneta (7 su 9: Ettore Beggiato, Alessio Morosin, Mariangelo Foggiato, Alberto Poirè, Michele Munaretto, Franco Roccon e lui stesso tutti fuoriusciti dalla LN-LV), Comencini non fu sostenuto dalla maggioranza della Liga Veneta che invece gli preferì Gian Paolo Gobbo. Quest’ultimo fece carriera, Comencini precipitò nell’oblio.

Questi scissionisti, il 5 febbraio 1999 organizzarono all’Hotel Sheraton di Padova (in Consiglio Regionale del Veneto avevano formato il gruppo “Liga Veneta Repubblica”) un memorabile e assai partecipato convegno intitolato “Veneto: un popolo sovrano verso l’Europa”.

All’evento aderiranno prestigiosi studiosi; anche stranieri. Tra questi, il prof. Gianfranco Miglio che nell’occasione disse tra l’altro: «Quando ho ricevuto il materiale che gli organizzatori di questo convegno mi hanno mandato, ho fatto un salto sulla mia seggiola, perché ho visto esaltata quest’idea del “Popolo Sovrano”, e allora mi sono detto: “Non pensano a una Costituzione federale”, perché voi sapete che la caratteristica di una Costituzione federale è che al suo interno nessun potere è sovrano. […] Io credo di conoscere bene il Popolo Veneto e ho scoperto da un pezzo che non c’è comunità veneta che non abbia un suo progetto di Costituzione. Dimenticatele queste particolarità, cercate di convergere sulle cose essenziali; io penso ad un progetto di Costituzione estremamente elementare che stabilisca le cose fondamentali, e poi rimetta alle strutture federali il completamento del disegno.»

Ma i distratti autonomisti e gli inefficaci federalisti sulla via dell’indipendenza non hanno ancora reso pubblica la decisione di copiare il progetto del “Profesùr” Miglio. Sembrano privilegiare quella che a loro dire sarebbe la “via istituzionale” che in oltre 40 anni di percorso, costellato dall’elezione di innumerevoli rappresentanti in ogni dove, non ha dato alcun risultato istituzionale, mentre di converso ha distribuito a piene mani rendite politiche ai loro pseudo leader, che non a caso concorreranno alle imminenti elezioni regionali.

La questione determinante è che all’indipendentismo veneto manca un leader (ci sono solo degli ambiziosi ed opachi “capi” che hanno varato e affondato innumerevoli partitucoli, insignificanti sia dal punto di vista politico-programmatico, come da quello elettorale, che hanno imbestialito i semplici.

Il leader di una nazione, è colui che con le sue decisioni fa la differenza per l’intera popolazione.
Martin Luther King fu il leader del Movimento per i Diritti Civili. Un leader, però, per essere tale, ha bisogno di seguaci. Senza di essi, infatti, sarebbe solo una persona che crede di poter cambiare il mondo, ma le cui idee sarebbero vuote e senza senso. E come diceva Martin Luther King: «un vero leader non cerca il consenso, lo crea.» Una capacità che molti odierni candidati hanno dimostrato di non avere. Gli pseudo indipendentisti che cercano il consenso elettorale non appartengono alla definizione valida per Martin Luther King.

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1 COMMENT

  1. Il chi deve portare viene sempre dopo il dove portare e come deve portare. Serve uno stacco di principi e paradigma. Quando sono individualmente chiari e condivisi il come ed il dove, il chi può essere anche semplicemente un animale da compagnia. E’ sempre la confidenza nelle doti del conduttore a costare l’irresponsabile miseria di esiti per i condotti. Ma io non faccio testo.
    Quel che è chiaro è che all’altezza di questo secolo e di tutta l’evidente esperienza disponibile, il dove ed il come non devono essere un cambio cosmetico di denominazione, di pezzi di carta, di venerati stracci, anche se suggeriti da compianti maestri, ma un progresso sostanziale di principi, come quello di non aggressione a tutela dell’individuo e di confinamento del potere, per così dire, pubblico. Dove i leaders non hanno potere ed investitura comandano tutti gli altri e senza il bisogno di badanti, è lo spessore dei principi che sono condivisi a fare la differenza tra una nazione sciatta o prospera. Con buona pace di tutti i loro orfani, i cari leader trovano prevalentemente utilità per se e per rompere le palle agli studenti impiastrando di rosso sangue i libri di storia.

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