di MATTEO CORSINI
Intervistato da Time, Donald Trump ha spiegato (se così si vuol dire) la sua politica tariffaria in questo modo:
- “Io sono questo enorme negozio. È un negozio gigantesco e bellissimo, e tutti vogliono farci acquisti. E per conto del popolo americano, io ne sono il proprietario e fisso i prezzi. E dico: se vuoi comprare qui, questo è quello che devi pagare”.
C’è un problema: Trump lamenta che gli Stati Uniti hanno un ampio deficit commerciale, il che significa che importano più beni di quanti ne esportino. E (sbagliando) non considera i servizi, né il fatto che gli Stati Uniti esportano dollari e attività finanziarie denominate in dollari. Quindi pensa che il problema possa essere risolto imponendo dazi elevati ai Paesi che esportano verso gli Stati Uniti più beni (in valore monetario) di quanti ne importino.
Quello che lui ritiene essere un problema è quindi dovuto al fatto che dall’estero pare che non vogliano proprio tutti quanti comprare nel “suo” emporio. Semmai il contrario. Tra l’altro, è certamente vero che il proprietario di un emporio può fissre i prezzi dei beni che offre al livello che vuole. Ciò che non è però scontato è che a quei prezzi ci sia domanda sufficiente. Anche nell’ipotesi in cui tutti volessero fare acquisti in quell’emporio.
Come minimo the Orange Man ha le idee un po’ confuse.
Gli spiegoni fatti da Trump stesso su come determina le aliquote daziarie fanno ridere i polli.
Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che si svegli la mattina volendo mettere un tot ad un certo paese, quindi prende carta e penna e studia di far uscire quel numero coi suoi calcoli strampalati.
E’ un totale mentecatto, poverino, mi fa tanta pena.