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L’ostinata illusione italica del moto perpetuo a mezzo deficit

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di MATTEO CORSINI

Per i keynesiani peninsulari il deficit non è mai abbastanza. L’ennesima conferma viene da un articolo di Gustavo Piga in cui la bozza di legge di bilancio è criticata in quanto restrittiva, nonostante 21 miliardi di nuovo deficit previsto per il 2023.

Secondo Piga, “analisti non keynesiani hanno confermato che la manovra per il 2023 si conferma essere “molto” restrittiva. Hanno, al contempo, lodato questo atteggiamento prudenziale del governo Meloni. Mentre è rinfrancante finalmente prendere atto che si è trovato un accordo tra economisti sul fatto che una manovra è da definirsi restrittiva per l’economia nel momento in cui taglia il rapporto deficit/Pil alzando le tasse e riducendo le spese della Pubblica amministrazione (cosa che era già avvenuta in maniera quantitativamente clamorosa con il governo Draghi, ma che non era stata fatta risaltare), non si può che rimanere basiti di fronte alla contemporanea tesi degli stessi colleghi che ciò sia utile e benefico per il nostro Paese.”

Il tutto perché “è noto come in recessione le politiche fiscali debbano essere espansive, aumentando il rapporto deficit/Pil, non solo per non aggravare la recessione ma anche per non permettere al rapporto debito/Pil, di cui si teme l’insostenibilità, di tornare a crescere proprio grazie all’effetto nefasto che manovre austere hanno sul denominatore del rapporto, il Pil.”

La restrizione, nonostante i 21 miliardi di deficit aggiuntivo, deriverebbe dal fatto che “se il governo Meloni non avesse fatto nulla rispetto a quanto ereditato dal suo predecessore, il deficit su Pil sarebbe sceso dal 5,6% del 2022 al 3,4% del 2023, di fatto confermando una manovra restrittiva di circa 40 miliardi, data la stasi del Pil 2023. Il fatto che il governo Meloni sia invece intervenuto, portando la riduzione del deficit/Pil dal 5,6% al 4,5%, sta solo a significare che questo ha deciso di effettuare una minore austerità. Ma pur sempre di austerità si tratta, enorme, di 1,1% di Pil, nel bel mezzo di una recessione, che finirà per aggravare quest’ultima.”

La triste realtà è che la spesa pubblica raggiungerà circa 1200 miliardi l’anno prossimo, ma Piga sottolinea che diminuirà in termini reali. Lamentando poi che a farne le spese saranno i dipendenti pubblici, come se quella parte di dipendenti privati che ha un reddito superiore a 35mila euro annui avesse prospettive di grandi benefici in termini non solo reali nel prossimo anno (pazzesco!)

Ce n’è anche per la spending review, ma per sottolineare che dovrebbe basarsi “sulla riqualificazione della spesa, un tema di riforma che il disastro organizzativo sui ritardi del Pnrr del precedente governo ha messo bene in luce come strategico, che spesso necessita aumenti di spesa per attrarre le migliori competenze all’interno della Pubblica amministrazione e per acquistare beni e infrastrutture di qualità e non sotto costo, evitando sprechi.”

In sostanza, la revisione dovrebbe comportare un aumento di spesa, ovviamente “evitando sprechi”. D’altronde questa è la consolidata tradizione delle pubbliche amministrazioni italiche.

La sintesi è sempre la stessa: più deficit che si traduce in una moltiplicazione dei pani e dei pesci in grado di fare aumentare il Pil in misura superiore al deficit. L’illusione della possibilità di generare via deficit un moto perpetuo che è ostinatamente reiterata, nonostante i numeri siano impietosi e la serie storica sia piuttosto lunga.

Sarà solo una sfortunata coincidenza che in tanti decenni non ci sia mai stato nessuno (non solo a sud delle Alpi, peraltro) in grado di spendere in deficit in modo da creare quel moto perpetuo?

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