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Mario Manlio Rossi: eretico, eccentrico, quasi liberale… Riscoprire un dimenticato

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di LUIGI CORTINOVIS

Una figura straordinaria del Novecento italiano è quella di Mario Manlio Rossi (1895-1971). Di cui Mimesis ora ripubblica la preziosa “Guida dell’Europa Minore”, a cura di E. Bianco, E. Baricci e il nostro Paolo L. Bernardini.

Venne ostracizzato dall’establishment  accademico, nonostante col suo sapere avrebbe potuto insegnare, tra l’altro, anglistica, storia della filosofia, estetica, e anche storia moderna e contemporanea. Scrittore, filosofo, prima antifascista, poi anticomunista, non ebbe molto spazio nel transito – quasi indolore – che tanti intellettuali fecero, per riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena, dal fascismo al comunismo, dal ventennio al post-ventennio, magari riadattando, giusto qualche ritocco, il loro Gentile per il mondo dei nuovi totalitarismi, di diverso colore, di eguale natura.

Era libero, era uno spirito libero e la sua carriera accademica la portò avanti in Scozia, dal 1946, per oltre vent’anni, prima di tornare in un’Italia che non lo conosceva più, isolato, solo, e morire in solitudine a Pontecagnano, sobborgo marino di Salerno, nel 1971. Non gli sono toccate edizioni nazionali, ri-edizioni, e riconoscimenti postumi, per lungo tempo. Finché altri spiriti liberi, non necessariamente solo liberali e libertari come Paolo Bernardini, lo hanno riscoperto, a partire dalla ricostruzione coraggiosa dell’omicidio Gentile fatta da Luciano Mecacci, altro “eretico” del pensiero. Dopo gli sforzi di Mecacci, di Laura Orsi, di Bernardini, di alcuni altri, come gli anglisti Sertoli, Bacigalupo, Fantaccini, Rossi è tornato a far parlare di sé. Diecine le sue opere, in ogni campo umanistico, o quasi, compresa l’italianistica, la disciplina che non era la sua, ma che per oltre venti anni insegnò ad Edimburgo, coronando finalmente in tarda età il più suo più che legittimo sogno di una cattedra. I suoi scritti su Dante sono mirabili.

E in questi tempi in cui l’Occidente non ha più ben chiara né la propria identità, né la propria collocazione, Rossi torna a parlarci. Lo fa qui in una guida turistica e storica in un’Europa post-bellica – sono tutti o quasi scritti degli anni Cinquanta – devastata eppure ancora pregna della propria storia, divisa dalla Cortina di Ferro, disperatamente protesa verso il proprio ritrovamento: ancora non si era arresa ad essere diventata deuteragonista del mondo, dopo un millennio di egemonia. Una guida che un viaggiatore intelligente potrebbe ben utilizzare oggi, a oltre settanta anni di distanza dai tempi in cui fu scritta. Per capire come l’Europa debba ritrovarsi, ripensarsi, a partire dalle proprie rovine, dalla propria distruzione. Sono pagine bellissime – Rossi fu forse soprattutto uno scrittore – perché insegnano a guardare oltre le apparenze, oltre le cartoline, oltre la miseria dell’olografia usa-e-getta del turista dei tempi nostri, oramai incapace di distinguere tra un viaggio reale ed uno virtuale.

L’Europa “minore” è quella che rivela, nelle periferie, lo spirito stesso e la cultura di un continente, appena emerso, lacerato, da una guerra in cui a vincitori e vinti era toccata la medesima sorte: la marginalità, lo sguardo proiettato più verso il passato che verso il futuro. La rinunzia. Fermato nel suo splendore antico, il castello di Moritzburg presso Dresda campeggia in copertina. Un omaggio alla corte di Sassonia, che per l’Europa così tanto fece.

Rossi fu certamente inviso a tutti gli statalisti e centralisti, ai baroni rampanti e rampicanti, pur diffidando da Mises e Hayek che per altro conosceva bene (tra i pochi a farlo allora nel devastante provincialismo della cultura italiana). E tuttavia seppe brillantemente distanziarsi da tutte le ideologie totalitarie, dalla miseria dello storicismo, e da quella, ancor peggiore, del comunismo, fiero difensore del libero arbitrio quando l’Europa era culla di determinismi esiziali, ivi compreso quello più morboso, l’esistenzialismo. Da cui filosofastri di ogni sorta hanno tratto e ancor traggono qualche alimento, mischiando gerghi e lingue (malamente conosciute) in libri miserabili. Fu tramite della cultura anglosassone in Italia per decenni, e di quella italiana in Inghilterra per altrettanto tempo. Non smise mai di scrivere e di pensare. Ancora non esiste una monografia, una biografia intellettuale, che gli renda pienamente giustizia.

Ma esistono fortunatamente, riscoperte da Orsi e Bernardini, tre opere, per ora, che ce riconsegnano già nella sua grandezza. L’autobiografia curata dalla Orsi (Genova, Città del Silenzio), col titolo, già di per sé eloquente, “Memorie di un estraneo”; il lavoro filosofico fondamentale, “Una difesa dell’uomo” (traduzione in italiano del libro inglese “A Plea for Man”, del 1956) (Vicenza, Ronzani) ed ora questa riedizione della “Guida dell’Europa minore”, che venne pubblicata postuma, quasi clandestinamente, nel 1974, a tre anni dalla morte, da un piccolissimo editore di Reggio Emilia (alla biblioteca Panizzi peraltro sono custodite tutte le sue carte). Come se ipocritamente ci si sentisse in dovere di ricordarlo, nella sua Reggio, ma quasi in sordina, senza farsi (farlo) troppo notare.

Non lasciò eredi, né naturali né accademici. Ma i grandi spiriti che muoiono così prima o poi trovano eredi elettivi, per dir così, che non li hanno mai conosciuti di persona per questioni anagrafiche, ma che li ri-conoscono come spiriti affini.

Rossi li ha trovati e non dei peggiori ed altri suoi scritti verranno pubblicati nei prossimi anni. Omaggiò la libertà, fino in fondo, e pagò un prezzo altissimo per questo. Anche da morto. Non fu certo il solo ad andare incontro a questa sorte. Ma non vi è nulla di scritto, per sempre. La sorte, fino ad un certo punto almeno, si può sempre rovesciare.

Fortunata l’Europa, nei suoi villaggi e nei suoi anfratti remoti, nelle sue stradine polverose e contrade gelide o assolate, nei suoi borghi e nei suoi conventi, per essere stata osservata così intensamente da lui, spesso un viaggiatore solitario, coltissimo, curiosissimo, pronto ad affondare le sue agili dita in ogni piaga; e in ogni remoto anfratto, per cavarne tesori.

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