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Repressione dei curdi del pkk, la turchia usa il pugno di ferro

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di GIANNI SARTORI Con un recente comunicato i prigionieri e le prigioniere del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e PAJK (Partito delle Donne Libere del Kurdistan) hanno voluto far chiarezza su quale sia il significato (e la posta in gioco) dello sciopero della fame in corso, sciopero che in questi primi giorni di aprile si conferma irreversibile e a oltranza. Si svolge ormai da oltre 30 giorni in varie carceri (a Şakran, Sincan, Edirne e Van ) mentre in tutte le altre prigioni era iniziato il 15 marzo. Una protesta sia per l’isolamento totale imposto a Ocalan, sia contro tutte le pratiche di oppressione, tortura e annichilimento a cui vengono sottoposti i prigionieri curdi. Nel comunicato dei prigionieri si ribadisce che «essere in grado di dire NO alla trappola mortale che il sistema cerca di imporre ai nostri popoli sarà l’inizio per sventare gli attacchi». Ancora: «Come prigionieri -hanno scritto- siamo consapevoli del fatto che con le nostre diecimila famiglie
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