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Tasse? Imposte? Si tratta sempre una violazione del principio di non aggressione

Da leggere

di MATTEO CORSINI

In un articolo dedicato alla sanatoria fiscale inserita dal governo nella legge di bilancio 2023, Enrico De Mita scrive, tra le atre cose:

  • “In generale, il pagamento delle imposte non può essere un regolamento di conti tra Stato e contribuente. L’esercizio della funzione impositiva non può diventare un atto di sopraffazione che il cittadino contrasta fino alla “tregua” o alla “pace fiscale”, da ultimo dichiarata dallo Stato quando la riscossione coattiva di un credito sperato accetta la moneta fallimentare del pagamento obbligatoriamente spontaneo del privato. Sembra che, come l’ultima frontiera che delimita il terreno dell’evasione dell’imposta, appaia la rottamazione dei crediti deteriorati. Il versamento di pochi denari non può essere il traguardo esiziale di un inseguimento del debitore che cessa solo per sfiancamento del creditore.”

Mentre nel linguaggio comune si utilizza il sostantivo “tasse”, nella scienza delle finanze le tasse sono distinte dalle imposte. Le tasse sono pretese dallo Stato (o dall’ente locale) a fronte di un servizio prestato al soggetto tassato. Al contrario, le imposte sono destinate a finanziare la spesa pubblica senza che vi sia una corrispondenza, neppure vaga, tra quanto uno è chiamato a pagare e un servizio effettivamente ricevuto.

Si tratta in entrambi i casi di una forma di violazione del principio di non aggressione, dato che anche nel caso delle tasse il servizio deve essere pagato a prescindere dalla volontà del soggetto tassato di richiederlo e utilizzarlo. Nel caso delle imposte, però, il pagatore neppure beneficia direttamente di un servizio, come può essere quello della raccolta dei rifiuti.

Per quanto si cerchi di tirare in ballo la Costituzione e il dovere di solidarietà di un contratto sociale che la maggior parte degli individui subisce e che con ogni probabilità non firmerebbe spontaneamente, pagare tasse e imposte non piace a nessuno.

Quando si parla di Irpef, ricordando che la principale imposta sul reddito è pagata in larga misura da lavoratori dipendenti e pensionati (con un onere per lo più a carico di circa 5 milioni di soggetti a fronte di 40 milioni di pagatori, in barba a chi ne lamenta la scarsa progressività) si identifica chi paga come “contrbuente onesto”, ancorché costoro non abbiano possibilità di evadere, essendo soggetti a prelievo alla fonte da parte di sostituti di imposta (non remunerati per questo servizio (o servitù) dallo Stato).

Va da sé che nessun governo abolirà mai la figura del sostituto di imposta, altrimenti il gettito crollerebbe. Scrive ancora De Mita:

  • “Se l’evasione è un fenomeno di massa, occorre un intervento sistematico, nel tempo medio, fatto di più misure, perché i cittadini acquistino fiducia nello Stato e paghino volontariamente una imposta sopportabile, in un sistema tributario stabile e certo. La nuova educazione fiscale procede dalla creazione di un sistema tributario che abbia una logica complessiva e nel quale fisco e contribuente siano entrambi pedagogicamente formati dal legislatore a non confondere tassazione ed espropriazione.”

A parte la forma piuttosto fumosa (quale tempo medio? quali misure?) la sopportabilità (tema caro a Ezio Vanoni) è un concetto soggettivo. Nessuna norma può fissarlo in modo oggettivo. Ciò detto, non è che sia mancata la retorica, fin dalla scuola primaria, volta a formare (indottrinare) “buoni contribuenti”, ma evidentemente ciò che è espropriazione continua a essere percepita come tale da chi la subisce.

De Mita riconosce che un “effetto strangolatore del fisco iniquo, quando l’imposta incide sulla proprietà, produce la violazione della tutela della proprietà e della capacità contributiva (articoli 42 e 53 della Costituzione). Tale effetto è certamente incostituzionale, perché non tiene conto della persona del contribuente o della sua situazione economica.”

Ora, l’imposta incide inevitabilmente sulla proprietà, anche quando non incide sul patrimonio, perché il reddito prodotto dal soggetto chiamato a pagare è una sua legittima proprietà. E non stupisce leggere che la “giurisprudenza costituzionale non ha mai affrontato la questione, che non è mai stata posta, dell’effetto espropriatorio di una imposta nei confronti di singoli soggetti sicché si renda necessario un provvedimento equitativo.”

La stessa Corte costituzionale, in fin dei conti, è finanziata dalle imposte. Per questo non potrà mai esserci autentica “fiducia e collaborazione tra cittadino e fisco”.

Può trattarsi di casi minoritari, ma il fatto è che se il cittadino non “collabora”, lo Stato usa la forza. Difficile, su queste basi, ipotizzare che si instauri un rapporto di fiducia. Poi evidentemente, esistono le eccezioni, a mio parere riconducibili a una forma di sindrome di Stoccolma.

In definitiva, nessun provvedimento teso ad alleviare le sofferenze (non solo in termini quantitativi) ai pagatori di tasse non può cambiare la sostanza dell’imposizione, che sarà sempre una violazione del principio di non aggressione.

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