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Uno, nessuno, centomila: un’ipotesi di salvezza e di libertà

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di PAOLO L. BERNARDINI

Come ritengono ormai numerosi analisti, siamo nella situazione in cui sta nascendo un mega-Stato mondiale oppressore di tutti i popoli e regno di burocrati sempre più grassi, mandarini-porcellini che servono gli Stati mondiali, da Bruxelles a Parigi alle Nazioni Unite, da Ginevra a Lussemburgo a Francoforte, adoperandosi affinché le quote di miseria del mondo rimangano sempre alte, onde essi stessi mantengano il proprio officio, e le istituzioni che li nutrono prosperino, insieme agli Stati, sempre di più. Insomma, siamo in una situazione che per molti aspetti ricorda Pirandello, tra il paradossale, e il tragico.

Vengono serviti regolarmente i circenses olimpici – quante esecuzioni per ogni medaglia d’oro? ecco un tema per una prossima tesi di laurea che darò – mai poi per i prossimi occorre aspettare quattro anni, anche se certo ci sarà un bel po’ di calcio nel frattempo. Pirandello: gli Stati del mondo vogliono sempre più creare la situazione ideale di monopolio assoluto del potere, vogliono diventare UNO, senza perdere però la propria identità. Rafforzano le loro agenzie, in ogni modo cercano di intimidire chi va alla ricerca della libertà.

La libertà. Di nuovo Pirandello.

La libertà sarebbe NESSUNO. La privatizzazione perfino del chiaro di luna, come scrivevano giovani libertari italiani anni fa. Il mondo nelle mani dell’individuo. Come scriveva Hegel, l’ideale in qualche modo è il limite.

Ma di nuovo Pirandello.

CENTOMILA. Ebbene, centomila, questo numero che è così grande e così piccolo, è proprio il futuro che garantirà la sopravvivenza all’individuo.

Sono i piccoli Stati (piccoli come territorio e anche come strutture) che faticosamente, con i percorsi paradossali e a volte crudeli della storia, stanno conquistandosi l’indipendenza, aiutati ora dall’uno ora dall’altro degli antichi avversari, USA, e URSS, ma spesso anche facendocela da soli; sono le avanguardie della libertà, alcune a noi vicinissime, come il Montenegro e il Cossovo. E presto la Scozia e poi la Catalonia, e perfino la Groenlandia. Centomila, centomila piccoli stati con milioni di cittadini felici. A quando un Massachussetts libero dal peso dell’Unione, a quando una Lombardia deleghizzata e veramente libera?

Proviamo a fare un’ipotesi per la regione geografica chiamata “Italia”.

Proviamo a pensare alla fine del governo centrale, attraverso il passaggio di tutte le competenze centrali alle singole regioni, divenute totalmente indipendenti.

Libere dal cancro centralista, ognuna potrebbe prosperare, come un corpo risanato improvvisamente attraverso un miracolo. E proviamo a chiederci una cosa: se tutti i parlamenti regionali divenissero parlamenti nazionali, che cosa verrebbe a mancare, di cosa si avrebbe bisogno? Di nulla.

Perché il governo centrale italiano (come diversi altri al mondo, le creature mostruose del terribile Ottocento) non ha più nessuna funzione storica, politica, istituzionale: si mantiene in vita come un residuo del passato, sempre più sfrontato perché sempre più impunito, sempre più spavaldo perché non trova nessuno che si opponga seriamente ad esso. Se tutte le competenze passassero alle regioni, si realizzerebbe il sogno di veder trasformati i luoghi dell’oppressione, i vari Palazzi Chigi, Madama, eccetera, in musei. Non solo l’operazione di gestione delle risorse italiane attraverso un governo centrale è obsoleta, ma è anche enormemente dannosa.

Questo è un invito all’esame di coscienza, e di intelletto: una volta defunto il governo centrale, ancora una volta, che cosa verrebbe a mancare? Abbiamo forse bisogno delle forze armate, o, se anche ne avessimo bisogno, non potrebbe ogni regione divenuta Stato avere le proprie?

Abbiamo forse bisogno di programmi scolastici di Stato? Abbiamo forse bisogno della sanità centralizzata?

Certamente, se ogni regione divenisse Stato, solo alcune avrebbero ragioni storiche per farlo, Genova e Venezia ad esempio, la Liguria e il Veneto. La Sicilia le ha perfino geografiche, e così la Sardegna! Ma siamo sicuri che occorrano ragioni storiche, identità millenarie, linguistiche e culturali, per liberarsi dal giogo centrale? Per essere liberi? Se ci sono, tanto meglio, su una storia gloriosa si basa un glorioso avvenire. Ma non sono indispensabili. Se non ci sono, si creeranno, posto che siano davvero necessarie.

Si prenda il Cossovo. La Serbia vanta ragioni storiche forti su quel territorio, vi sono i più antichi centri religiosi della Chiesa ortodossa serba. Eppure, in qualche modo relegandolo ai propri margini, ha fatto sì che gli albanesi, musulmani, ne divenissero nuovi e a loro modo legittimi padroni. Se questo serve ad indebolire uno Stato assurdamente centralistico, autoritario e nazionalistico come la Serbia, ben venga. Ma siamo sicuri che poi la Serbia amputata sia davvero per questo indebolita? Non potrebbe essa stessa prosperare vieppiù? Come piccolo stato, prosperare sarà il suo inevitabile destino.

La Serbia ha una bellissima storia di libertà, ma soprattutto di lotta per la libertà alle spalle. Nel lontano 1804, i Serbi furono i primi a ribellarsi contro il dominio ottomano, ma, al contrario di quella greca di due decenni dopo, la loro rivoluzione fallì, e fu soffocata nel sangue. Le sia dia un pochino di libero mercato, di libertà individuali, di diritti, e non dubito fiorirà. Sono genti forti, belle, orgogliose.

Poniamo dunque mente ad un’Italia, geograficamente intesa, divisa in 20 stati totalmente indipendenti.

Senza nessun bisogno di “federarsi”, se arriva il Barbarossa – ma arriverà mai? – e solo in quel caso, si potrà pensare ad alleanze. E’ un bell’esercizio del pensiero, ma anche una vera e concreta possibilità. Poi, una volta divisa così, si avrà modo di rinegoziare i confini. Non abbiamo più bisogno di alcun burattinaio che da Roma ci detti cosa insegnare e come curare, Mangiafuoco appartiene all’epopea di Pinocchio, al secolo passato. Insieme al burattino di legno è andato a fuoco nella prima guerra mondiale, e tutto avrebbe dovuto finire lì: ne è venuta invece una seconda, e ancora gli Stati non sono paghi del male che hanno fatto all’umanità.

Prima che sia per alcuni troppo tardi, questa salutare frammentazione dovrebbe aver luogo. Per i più deboli, soprattutto. Perché la scelta che presto si porrà, per chi ama la libertà, innanzi tutto la propria, sarà l’emigrazione (ma di nuovo, solo per alcuni), la miseria, o un sordo rancore che ucciderà quelle generazioni future che, purtroppo o per fortuna, ormai però non esistono quasi più: quei figli che la mia generazione non ha fatto per tema di mettere al mondo altri schiavi.

Questo non significa che si realizzi il pensiero libertario nella sua purezza. Ma come tappa in un percorso lunghissimo, sarebbe una conquista infinita. Per ora.

*Tratto dal libro “Minima Libertaria”, Leonardo Facco Editore, 2011

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